di Clemente Pistilli
Dovranno pagare, ma con uno sconto sostanzioso. Alla fine i giudici, e questa volta direttamente quelli costituzionali, hanno salvato anche l’ippica. In Italia quando si parla di gioco d’azzardo allo Stato non entra mai quel che prevede e soprattutto se si tratta di far risparmiare le società che vivono di giocate una strada si trova sempre. Non poteva essere altrimenti per quelli che lavorano scommettendo sui cavalli. Alle vecchie concessionarie era stato chiesto di pagare integralmente i cosiddetti minimi garantiti, quelle somme che a prescindere dagli incassi ogni anno dovevano essere versate nelle casse pubbliche, e per chiudere la partita era stata concessa una riduzione non superiore al 5% sul totale dei versamenti. La vicenda è approdata alla Corte Costituzionale e alla fine i giudici hanno deciso di avallare la norma con cui lo Stato batteva cassa, ma di dichiararla incostituzionale nella parte che fissava il tetto dello sconto a un massimo del 5%. Dieta dimagrante assicurata agli incassi previsti dall’erario.
Difesa del monopolio
Senza alcuna gara, le vecchie concessionarie per le scommesse ippiche avevano ottenuto l’ok a esercitare la loro attività versando ogni anno una quota all’Unione nazionale incremento razze equine, poi sostituita dall’Agenzia per lo sviluppo del nsettore ippico, ovvero alle casse pubbliche. Se la soglia dovuta non veniva raggiunta, le concessionarie erano poi tenute a integrare i versamenti fino a raggiungere una determinata cifra, il cosiddetto minimo garantito. L’Unione europea ha bacchettato e condannato l’Italia per tale monopolio nel settore ippico e nel 2006 il mercato si è allargato. Alle 329 concessionarie storiche se ne sono aggiunte altre, fino ad arrivare a 928 operatori e 13.600 punti di giocata. Chi si è visto così aumentare la concorrenza e ridurre gli incassi non ha perso tempo a fare ricorso contro le richieste del minimo garantito, precisando che prima di pagare quelle somme lo Stato doveva varare le cosiddette misure di salvaguardia, provvedimenti utili a far sì che il nuovo regime non fosse peggiore del presente. Tra ricorsi e sentenze, diverse sono state le vittorie delle agenzie.
L’ultima battaglia
Nel 2006 il Governo ha cercato di uscire dallo stato d’impasse con il decreto legge sulle disposizioni urgenti in materia di semplificazione tributaria, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento, poi convertito nella legge n.44. Addio misure di salvaguardia, concessionarie storiche chiamate a pagare le somme mancanti per il raggiungimento del minimo garantito tra il 2006 e il 2010 e, per aiutare i signori del gioco, sconto massimo del 5%. Agenzie e società di scommesse, tra cui la Snai, la Sisal e la Cogetech, hanno presentato l’ennesimo ricorso e il Tar del Lazio ha sollevato dubbi sulla costituzionalità della nuova legge, in quanto avrebbe tolto ai giudici il potere di decidere sugli atti già impugnati e sarebbe stata retroattiva, oltre a prevedere una riduzione che non poteva essere paragonata alle norme di salvaguardia, in quanto presa senza una necessaria analisi del mercato. Una tesi quest’ultima caldeggiata dai ricorrenti, che hanno parlato di una forte riduzione delle percentuali di guadagno con l’ingresso sul mercato di altri operatori e ricordato quanto emerso dallo stesso annuario statistico dell’Assi, che tra il 2005 e il 2010 ha stimato perdite del valore di gioco pari al 54,2%.
Arrivato l’aiutino
La Consulta, esaminata a fondo la vicenda e ascoltate le ragioni dei signori del gioco e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha alla fine ritenuto solo parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale. Per i giudici, infatti, non vi sono dubbi che le agenzie ippiche debbano pagare altre somme allo Stato, come previsto nelle concessioni, e che bene ha fatto il Governo a cercare una soluzione per disciplinare il settore, ma risolvere tutto con uno sconto massimo del 5% avrebbe rappresentato uno sbarramento irragionevole. La legge del 2012 è stata così ritenuta incostituzionale e annullata soltanto limitatamente alla parte in cui prevede il versamento del minimo garantito richiesto con una riduzione non superiore al 5%. Alla fine per le casse pubbliche la doccia fredda è così arrivata. Qualcosa verrà pagato, ma ancora una volta non sarà quanto lo Stato aveva previsto e chi vive di gioco, lo stesso gioco che sta costringendo tanti italiani a finire in centri di cura perché vittime di una vera e propria ludopatia, si vedrà guastare gli affari, ma non troppo. Lo sconto per le concessionarie storiche è garantito e, essendo troppo poco il 5% previsto per legge, non c’è da dubitare che sarà sostanzioso. Quando verrà nuovamente stabilito quanto le concessionarie dovranno pagare allo Stato c’è poi da scommetterci che altri ricorsi arriveranno e, tra una sentenza e un’ordinanza, una nuova legge e un cavillo legale, prima che i cittadini possano beneficiare del denaro derivante dalle scommesse sui cavalli occorrerà sicuramente del tempo. Alla certezza dello sconto per le agenzie di scommesse per lo Stato ne arriva così un’altra: per fare cassa deve aspettare. Non si sa quando otterrà un po’ di denaro e non si sa quanto riuscirà ad avere.