Se ne parla sempre meno, complice l’escalation del conflitto mediorientale che ha catalizzato l’attenzione dei media internazionali, ma la guerra in Ucraina non è affatto vicina alla sua conclusione. Anzi, in questi ultimi giorni — e nel silenzio dell’Occidente — le truppe di Vladimir Putin stanno avanzando rapidamente lungo tutta la linea del fronte, colpendo senza pietà le strutture energetiche del Paese, anche e soprattutto a causa del disimpegno americano dal conflitto, ormai sotto gli occhi di tutti.
A sostenerlo è il viceministro degli Esteri ucraino, Andrii Sybiha, che, rassegnato, su X ha denunciato i recenti attacchi missilistici russi “contro le infrastrutture energetiche di Kremenchuk”, che “rientrano nella strategia deliberata di Mosca di agire mentre l’attenzione internazionale è rivolta al conflitto in Medio Oriente”.
Una serie di brutali raid che, spiega il fedelissimo di Volodymyr Zelensky, costituiscono “un tentativo cinico di aumentare la pressione e il terrore, mentre la Russia continua a simulare disponibilità al dialogo con l’Occidente”.
Proprio davanti a questa strategia dello zar, l’Ucraina chiede ufficialmente ai suoi partner, in vista del G7 iniziato ieri e che proseguirà fino a domani, di “adottare misure concrete contro la Russia e il suo comparto energetico, andando oltre le semplici dichiarazioni”.
In particolare, Sybiha ha proposto di abbassare il tetto massimo al prezzo del petrolio russo a 30 dollari al barile, di introdurre nuove restrizioni contro la flotta ombra russa e di rafforzare ulteriormente l’intero regime sanzionatorio contro il settore energetico di Mosca. “Colpite Putin dove fa più male: questo aiuterà, non ostacolerà, il processo di pace”, ha concluso il ministro.
Putin avanza mentre l’Occidente tace: il dramma di Kiev è solo un ricordo e rischia di sparire dalle conclusioni del G7
Un appello che, però, rischia di cadere nel vuoto. Infatti, dal G7 attualmente in corso in Canada trapela pessimismo sulla possibilità di giungere a soluzioni concrete, a causa della riluttanza del presidente americano, Donald Trump, a impegnarsi in nuove forniture militari per Kiev e a imporre sanzioni alla Russia.
Proprio per questo, secondo indiscrezioni di stampa, i leader dei sette Paesi più industrializzati del mondo, al termine del vertice, potrebbero rinunciare al tradizionale comunicato congiunto per evitare attriti con il tycoon, preferendo rilasciare dichiarazioni distinte.
Si tratta di un’eventualità che, se confermata, dimostrerebbe oltre ogni ragionevole dubbio — secondo fonti ucraine — l’esistenza di “un ampio divario tra gli Stati Uniti e gli altri membri del G7 in merito all’Ucraina, al cambiamento climatico e ad altre questioni”.
Proprio per questo, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, poco prima dell’inizio del vertice, ha dichiarato che è necessario “mettere più pressione sulla Russia per portarla al tavolo negoziale e arrivare alla pace”, invocando l’unità dei Paesi occidentali sia sulle forniture di armi a Kiev sia sulle sanzioni che, a suo dire, “sono efficaci” e permettono “all’Ucraina di mettersi in una posizione di forza” in vista dei futuri negoziati di pace.
Trattative che, però, sono di nuovo in stallo, al punto che il portavoce del presidente russo, Dmitrij Peskov, ha affermato che la Russia è disponibile, ma che — malgrado quanto concordato durante il colloquio telefonico tra Putin e Trump, secondo cui un nuovo round negoziale dovrebbe partire dopo il 22 giugno — ad oggi “non c’è ancora una data precisa per la continuazione” della trattativa.
Difficoltà crescenti
Quel che è certo è che il conflitto sta entrando in una delle sue fasi più dure, con l’avanzata russa che appare inarrestabile e il governo ucraino che continua a chiedere “più sforzi” agli alleati occidentali, definiti “insufficienti”.
Una tesi che è stata ridimensionata dall’ultimo rapporto del Kiel Institute, secondo cui è vero che gli USA si sono defilati — come emerge chiaramente dall’assenza di nuovi pacchetti di aiuti nel 2025 — ma, nonostante ciò, l’Ucraina ha ricevuto tra gennaio e aprile 2025 più aiuti rispetto alla media dello stesso periodo negli anni precedenti.
A colmare il vuoto lasciato dalla nuova amministrazione Trump è stata l’impennata dell’assistenza europea, in particolare da parte di Regno Unito e Paesi nordici, che — secondo l’istituto tedesco, che monitora le promesse e le erogazioni di aiuti militari, finanziari e umanitari all’Ucraina dal febbraio 2022 — “sta compensando ampiamente il ritiro dell’aiuto americano”.