Donald Trump continua a sostenere che a Gaza “il cessate il fuoco è pienamente operativo”, ma in realtà proseguono – seppur a minore intensità rispetto agli ultimi giorni – i raid dell’aviazione israeliana sulla Striscia. Attacchi più radi ma non meno devastanti, visto che tra martedì e mercoledì le vittime registrate sono state più di 100, mentre ieri – malgrado dati non definitivi e difficilmente verificabili – i caduti palestinesi sarebbero stati una decina.
Botta e risposta dopo gli ultimi raid israeliani a Gaza
Insomma, nella Striscia si continua a combattere e a morire, nonostante sia Hamas che Israele, a parole, sostengano di stare facendo di tutto per evitare di tornare in guerra e continuino a scambiarsi accuse di violazione degli accordi per il cessate il fuoco. Il problema, però, è che la guerra non sembra essersi mai davvero fermata, visto che continua a bassa intensità.
Non fa eccezione quanto accaduto ieri, quando il movimento palestinese – con quella che da Tel Aviv bollano come una “falsità” – ha denunciato nuovi raid delle Forze di difesa israeliane (Idf), definiti “barbarici” perché avrebbero preso di mira civili e, secondo loro, costituirebbero “l’ennesima violazione degli accordi di pace” contro la città di Haza, nella Striscia di Gaza settentrionale.
Che il raid ci sia stato lo conferma lo stesso Idf, che però nega categoricamente di aver causato vittime civili, sostenendo, al contrario, che si è trattato di “un attacco di precisione nell’area di Beit Lahia, nella Striscia di Gaza settentrionale”, che ha preso di mira “un’infrastruttura terroristica dove erano immagazzinate armi e velivoli destinati all’esecuzione di un attacco imminente contro i soldati delle Idf e lo Stato di Israele”.
Ma non è tutto. Oltre ai combattimenti, a far salire la tensione è stata l’operazione di ieri notte, quando l’Idf ha demolito “infrastrutture terroristiche” nella Striscia di Gaza meridionale, colpendo – in modo preventivo – quella che definiva “una minaccia imminente”.
Tentativi maldestri
Così, di fronte alle ennesime azioni militari israeliane e nel tentativo di riabilitarsi agli occhi della comunità internazionale, Hamas ha provato a mostrarsi “determinato” nel portare avanti il cessate il fuoco. Per apparire come una forza responsabile – e di fatto addossare al primo ministro Benjamin Netanyahu l’eventuale fallimento della tregua – nel pomeriggio ha consegnato i cadaveri di altri due ostaggi, Amiram Cooper e Saher Baruch.
Un gesto che non ha minimamente impietosito l’amministrazione di Tel Aviv che, secondo quanto riporta la rete Kan, citando un portavoce dell’ufficio del primo ministro israeliano, si è affrettata a dichiarare che “Hamas sta ingannando Israele, sta ingannando il presidente americano Donald Trump e sta ingannando il mondo”.
Come se non bastasse, ignorando completamente il fatto che i raid non si sono mai effettivamente fermati, il ministero degli Esteri israeliano – in una nota dal tono surreale – ha ribadito la tesi secondo cui “Israele continua e continuerà a rispettare il cessate il fuoco”, a differenza di quanto starebbero facendo i miliziani palestinesi, salvo poi aggiungere che “risponderemo colpo su colpo alle violazioni di Hamas”.
Sale la tensione con il Libano
A preoccupare, in queste ore, sono anche le rinnovate tensioni tra Israele e Libano, dove – malgrado la tregua siglata un anno fa – da giorni sono ripresi i raid dell’Idf.
Proprio le truppe di Netanyahu, ieri, hanno reso noto di aver condotto un’operazione a Blida, nel Libano meridionale, per distruggere infrastrutture del movimento filo-iraniano Hezbollah, causando la morte di un “terrorista”.
Dal canto suo, il gruppo libanese ha accusato l’Idf di aver colpito il municipio di Blida e non strutture militari, denunciando una “palese violazione della tregua”, in quanto a perdere la vita non sarebbe stato un miliziano, ma un “dipendente comunale”.
Un attacco che ha fatto infuriare il presidente libanese Joseph Aoun, che – pur non essendo un sostenitore di Hezbollah – ha confermato la versione del gruppo filo-iraniano e ha ordinato alle forze armate di Beirut di “opporsi a qualsiasi incursione israeliana nel sud del Paese” per difendere “il territorio del Libano e la sicurezza dei suoi cittadini”. Un botta e risposta che fa temere la possibile riapertura di un fronte di guerra dopo oltre un anno di tregua.
