La May ha fatto male i conti col voto anticipato e si gioca la maggioranza. Ma resta al governo in coalizione con gli unionisti nordirlandesi

Si è votato fino alle 23 per le prime elezioni post Brexit nel Regno Unito. La conservatrice Theresa May vince ma non basta: bene i laburisti di Corbyn.

L’azzardo delle elezioni anticipate è costato caro Theresa May. Dopo le elezioni dell’8 giugno nel Regno Unito, infatti, il Partito conservatore non avrà la maggioranza per controllare il Parlamento. Sui 650 seggi totali i Tories hanno conquistato 318 deputati (due anni fa erano 330), lontano dalla soglia di 326, necessaria a poter governare senza cercare alleanze. Così in poche ore è stato stipulato un patto con il Dup, gli unionisti del Nord Irlanda, che hanno vinto in 10 collegi e hanno accettato la trattativa. Insomma l’Hung Parliament, il Parlamento appeso, previsto dai sondaggi si è materializzato (qui il grafico realizzato dalla Bbc). La prima reazione della May è stata quella di promette un massimo impegno per garantire “stabilità”, avviando immediatamente il dialogo con il Dup.

Seggi elezioni Granb Bretagna

“Farò un nuovo governo, per rispettare la promessa della Brexit”, ha annunciato la premier. Sulla coalizione con gli unionisti May ha  sottolineato: “I nostri due partiti godono da molti anni di una forte relazione. Questo mi dà la fiducia che saremo in grado di lavorare insieme nell’interesse dell’intero Regno Unito”. Ha poi rivendicato il successo: “Avendo ottenuto il maggior numero di voti e di seggi alle elezioni generali è chiaro che i conservatori e gli unionisti hanno la legittimità a governare”. Infine ha ribadito: “Lavorerò con loro, perché mai come in questo momento la Gran Bretagna ha bisogno di certezze”.

Il leader laburista Jeremy Corbyn, nonostante la sconfitta subita in termini numerici, ha ottenuto un risultato impensabile fino a qualche mese fa, conquistando 261 seggi, 29 in più rispetto alle ultime elezioni Un premio alla linea spiccatamente più di sinistra che ha impresso al partito dopo gli anni di centrismo praticato da Tony Blair e Gordon Brown, ma in parte anche da Ed Miliband. Su scala nazionale, peraltro, il centrosinistra è salito 40,2% dei voti contro 42,4% dei conservatori. La conferma che questa i sondaggi ci avevano visto giusto. Corbyn ha subito lanciato la richiesta: “Serve un Governo che rappresenti tutti”.

Voti nazionali in Gran bretagna

I Libdem, guidati da Tim Farron, hanno ottenuto un buon risultato con 12 seggi, 4 in più rispetto al 2015. Questi numeri sarebbero stati preziosi alla May per la formazione di una maggioranza, ma i centristi hanno escluso l’ipotesi subito dopo i primi exit poll. Elezioni amare comunque per Nick Clegg, ex astro nascente dei liberal-democratici, che ha perso il seggio in Parlamento. Da segnalare, invece, il pesante calo dello Scottish National Party di Nicola Sturgeon, che ha perso 22 deputati: da 56 a 34. Un dato che potrebbe portare a una frenata sulla volontà secessionista della premier scozzese. Ancora peggio è andata all’estrema destra dell’Ukip, orfana di Nigel Farage, praticamente sparita dalla geografia politica britannica.

L’analisi: obiettivo mancato – Dopo il voto del 2015 e il referendum che ha decretato il divorzio da Bruxelles, gli inglesi erano stati richiamati alle urne dalla May – in un clima di sorveglianza blindata dopo i recenti attacchi di Manchester e Londra – con un solo obiettivo: accrescere il peso suo e dei Tory in Parlamento per avere le mani libere al tavolo con l’Ue e su tutti i dossier che incombono, dalle incognite sull’economia all’allarme terrorismo. Ma la meta, che i sondaggi davano per scontata, non è stata raggiunta. Al contrario la prima ministra deve decidere cosa fare. Non le sono dunque bastati gli slogan esibiti negli ultimi giorni da “donna forte”, decisa a garantire “gli interessi nazionali” nell’ambito di una Brexit senza se e senza ma e a rispondere al terrorismo con una guerra senza quartiere. Viceversa Corbyn ha di che esultare, visto che a 68 anni è stato capace di condurre una campagna frizzante, con una versione rinnovata del suo programma da vecchio socialista che ha risvegliato entusiasmi sopiti fra giovani e meno fortunati che alle urne questa volta sembrano essersi fatti sentire.