Remigrazione, l’ideologia dell’espulsione di massa dietro una parola

Il summit è saltato, ma la parola resta: “remigrazione” è il nuovo eufemismo delle destre per normalizzare la deportazione etnica

Remigrazione, l’ideologia dell’espulsione di massa dietro una parola

Non è solo un summit andato a monte. Il raduno internazionale sulla “remigrazione” previsto il 17 maggio 2025 nei pressi di Milano, cancellato dopo l’ennesimo rifiuto di ospitalità da parte di un hotel, rappresenta molto più di un fallimento logistico. È il segnale di un linguaggio che avanza, una strategia che si diffonde, una battaglia culturale che ha trovato terreno anche in Italia. Ed è un segnale allarmante.

Dietro la parola “remigrazione” – apparentemente tecnica, dal suono neutro – si nasconde un’ideologia precisa: l’espulsione di massa su base etnica o culturale. È questo il vero contenuto che l’estrema destra europea cerca di legittimare, attraverso raduni internazionali, influencer identitari e l’occupazione progressiva dello spazio linguistico. L’Italia, ancora una volta, è stata scelta come palcoscenico.

Una parola, una strategia

Il lessico è l’arma. “Remigrazione” non significa “rimpatrio volontario” né “rimpatrio dei clandestini”. Indica invece, nella grammatica ideologica della nuova destra radicale, la cacciata – fisica, politica, culturale – di persone straniere o percepite come tali, anche se nate, cresciute e integrate nei Paesi europei. È il cuore della teoria della “Grande Sostituzione”, elaborata da Renaud Camus e assunta come dogma da movimenti come Génération Identitaire e dai promotori del summit milanese. Un piano costruito per normalizzare il razzismo sotto il travestimento dell’ordine.

A dare forma a questo progetto in Italia è stato Martin Sellner, ideologo austriaco già noto per aver presentato nel 2023 a Potsdam un “masterplan” che prevedeva l’espulsione di milioni di persone – anche cittadini – verso un ipotetico “stato-modello” in Nord Africa. Proprio Sellner doveva essere la figura di punta del summit di Milano, insieme a una galleria di estremisti europei. Ma nessun hotel ha voluto ospitare l’evento. A Somma Lombardo, l’hotel Dolce ha annullato la prenotazione. Il sindaco Bellaria ha parlato chiaro: “Chi propugna idee xenofobe non può ricevere né spazi fisici né ribalte mediatiche”.

La reazione della società civile

La risposta è arrivata prima e più forte delle istituzioni: associazioni antifasciste, sindacati, ong, partiti, cittadini. Una rete trasversale e compatta ha bloccato l’evento con telefonate, mail, pressione mediatica e una manifestazione pubblica che il 17 maggio scenderà in piazza. La contromanifestazione promossa da Arci, Anpi e Cgil è stata spostata da piazza Duomo a San Babila, e si affiancherà al corteo più radicale degli “antifa” che partirà da largo Cairoli. Milano, medaglia d’oro della Resistenza, ha reagito prima ancora che si potessero contare i danni.

Remigrazione: genealogia di un eufemismo

Non è la prima volta che una parola viene manipolata per dissimulare l’odio. Negli anni ’90, in Francia, “remigrazione” entrò nel vocabolario della Nouvelle Droite come termine tecnico per “ripulire” l’Europa da chi non ne incarnava l’identità culturale. Il pensiero di Alain de Benoist e Guillaume Faye forniva le basi ideologiche: etnopluralismo, rifiuto del multiculturalismo, difesa dell’“identità” attraverso la separazione etnica. Non razzismo, dicevano, ma “diversità nella distanza”. È su queste basi che movimenti come CasaPound in Italia e AfD in Germania hanno iniziato a usare la parola come vessillo. Una parola apparentemente rispettabile, per un progetto radicalmente inaccettabile.

In Italia, l’uso pubblico della parola è recente. Nel 2025, la Lega Giovani ha iniziato a usarla in modo esplicito, seguita da parlamentari nazionali ed europei. Ma è stato dopo i fatti di Capodanno 2024 a Milano – quando gruppi di giovani aggredirono alcune ragazze in piazza Duomo – che il termine ha trovato spazio nel dibattito politico, cavalcato da esponenti della Lega per invocare “remigrazione per chi non si integra”.

Una parola pericolosa

“Remigrazione” è pericolosa non solo per il progetto che veicola, ma per il modo in cui si insinua nel discorso pubblico. Come ha scritto Tetyana Bezruchenko su Il Foglio, questa strategia rientra in un più ampio disegno culturale promosso anche dal Cremlino: sfruttare l’ansia identitaria dell’Europa per inoculare un’ideologia illiberale e autoritaria, mascherata da difesa delle tradizioni. È lo stesso schema già visto con la “difesa della famiglia”, la “guerra al gender”, il “patriottismo contro l’élite”. Dietro ogni parola si nasconde una rete: fondazioni, media, editoria, eventi come questo summit.

Un fronte che avanza

L’estrema destra europea non ha bisogno di vincere le elezioni per vincere la battaglia delle idee. Le basta entrare nel vocabolario, spostare il senso comune, ridurre le resistenze. È così che si apre la strada al disumano: chiamandolo ordine, identità, ritorno. Il Remigration Summit è stato (forse) annullato, ma la sua parola d’ordine continua a circolare. Non come slogan: come minaccia.