Renzi e il Pd fanno melina. Stallo sul Reddito di emergenza. La misura è attesa da 2,5 milioni di italiani in difficoltà. Italia Viva frena con la scusa di sfilarla all’Inps

Solo dopo aver consultato le parti sociali – ieri c’è stato l’incontro con i sindacati oggi quello con le imprese – il governo deciderà come modulare gli aiuti alle aziende da inserire nel decreto maggio. Considerate le divergenze tra le forze di maggioranza il premier avrebbe congelato la discussione e rinviato il momento per fare una sintesi. Iv continua a osteggiare l’ipotesi di un ingresso dello Stato nel capitale delle imprese, che invece trova favorevoli dem e 5Stelle. E punta su contributi a fondo perduto e su sgravi fiscali. A nulla sono servite le rassicurazioni del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri che ha escluso qualsiasi forma di controllo pubblico. L’ipotesi di un intervento dello Stato non seduce neanche gli industriali.

Il punto comunque verrà fatto dopo aver sondato gli umori delle parti sociali. Altro capitolo della maxi manovra da 55 miliardi che divide la maggioranza è il Reddito di emergenza. Questa volta gli schieramenti che si fronteggiano vedono Pd e Iv da una parte e 5Stelle dall’altra. I dem e i renziani temono che i 5Stelle lo vogliano trasformare in una misura strutturale, loro vorrebbero che fosse un sussidio una tantum. In realtà si tratterebbe di un timore infondato dal momento che i pentastellati più volte hanno specificato che si tratterebbe di una misura a tempo (due, massimo tre mesi) per sostenere chi versa in condizioni di estrema difficoltà economica e non ha alcuna fonte di reddito. I beneficiari sarebbero 2,5 milioni.

Al momento le risorse ammonterebbero a un miliardo. Che i 5 Stelle vorrebbero tradurre in un contributo tra i 400 e gli 800 euro, a seconda del quoziente familiare, da erogare subito a maggio. I pentastellati, poi, vorrebbero che a gestirlo fosse l’Inps, Pd e Iv premono perché i fondi vengano amministrati dai Comuni. Nel decreto, poi, la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, proporrà una misura con la quale, temporaneamente, i contratti collettivi aziendali e territoriali potranno prevedere una rimodulazione, quindi una riduzione, dell’orario di lavoro. A parità di salario. I contratti possono convertire quota parte delle ore in percorsi di formazione finanziati da un apposito fondo presso il ministero. Ma c’è un altro tema divisivo sul decreto in arrivo. Si tratta della regolarizzazione dei lavoratori stranieri irregolari. La norma, su cui spinge Iv appoggiata dal Pd, dovrebbe rientrare nel decreto maggio ma M5S si oppone.

La ministra Teresa Bellanova ha stimato in 600 mila il numero dei beneficiari, ma la cifra da diversi ministri viene considerata troppo alta. Come la ministra renziana anche il ministro del Mezzogiorno Giuseppe Provenzano è per inserire nella misura non solo i lavoratori agricoli ma anche colf e badanti. Un compromesso potrebbe trovarsi riducendo la cifra, escludendo la possibilità di estendere il provvedimento ad altre categorie non agricole e lasciando poi il Parlamento a pronunciarsi. Lega e FdI promettono battaglia contro “ogni ipotesi di sanatoria”. I renziani scalpitano anche perché veda la luce il piano shock per le infrastrutture. E anche qui una mediazione potrebbe trovarsi inserendo nel decreto norme per sbloccare opere pubbliche e investimenti che poi verrano amplificate in un altro provvedimento.

E se un compromesso sarebbe già stato trovato per i fondi alla sanità, saliti a oltre 3 miliardi, non c’è ancora pace su quelli per le famiglie. La ministra renziana Elena Bonetti, che insisteva per introdurre l’assegno per i figli, li giudica insufficienti. La fase “è difficile” ma il governo è pronto a un intervento “cospicuo” e bisogna rimboccarsi le maniche, ha spiegato il premier ai sindacati, lanciando l’idea di un nuovo “patto sociale equo e moderno” anche per ragionare su “nuove forme contrattuali innovative” e “adeguate alle nuove forme di lavoro”.