Dalla Campania all’Emilia. Rifiuti letali per la politica. L’inceneritore di Acerra realizzato da Bertolaso non bastò a salvare Napoli. E Pizzarotti fallì la promessa di chiuderlo a Parma

Nel 2008 Bertolaso realizzò ad Acerra l’impianto per il trattamento dei rifiuti ma due anni dopo il capoluogo campano era di nuovo invaso dall’immondizia

La materia è delicata e va maneggiata con cautela. Ne sa qualcosa, tanto per fare un esempio, il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti. Quando vestiva ancora la casacca del Movimento Cinque Stelle, cavalcò per tutta la campagna elettorale la battaglia contro l’inceneritore Ugozzolo, l’ottavo per dimensioni dell’Emilia Romagna. Ma quando nel 2013, vincendo le comunali, completò la scalata a Palazzo del Capitano del Popolo, dovette presto fare i conti con la realtà.

RETROMARCIA – E dopo mesi di polemiche, fu costretto ad alzare bandiera bianca. “Ho fatto tutto ciò che era possibile fare con i poteri di un sindaco. Ora guardiamo avanti”, scrisse in una lettera alla cittadinanza prendendo atto che spegnerlo era impossibile. Ma a proposito di inceneritori, qualcosa da dire ce l’anno di certo pure in Campania. Dove la questione dei termovalorizzatori è tornata attuale dopo le ultime scintille tra i due vicepremier del Governo Conte. “Occorre il coraggio di dire che ne serve uno per ogni provincia. Non vorrei doverli imporre”, avverte Matteo Salvini. Con la crisi dei rifiuti in regione “non c’entrano una beneamata ceppa”, gli replica stizzito Luigi Di Maio.

Ma facciamo un passo indietro. Nel 2008, con Napoli e la Campania invase dalla monnezza e assediate dai roghi tossici, in otto mesi il Governo allora guidato da Silvio Berlusconi, incaricò l’ex capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, di realizzare il termovalorizzatore di Acerra. La panacea di tutti i mali funzionò per un po’. Ma nel 2010 la capitale del Regno delle due Sicilie ripiombò nell’incubo. La fine dell’emergenza rifiuti, strombazzata in pompa magna dal Governo del Cavaliere due anni prima, si era scillta come neve al sole. La periferia di Napoli e le altre provincie della Campania si ritrovarono, ancora una volta, sommerse dalla spazzatura.

RITORNO AL PASSATO – “Un agente ferito, 70 mezzi distrutti e autocompattatori dati alle fiamme. È il bollettino – provvisorio – dell’ennesima emergenza rifiuti napoletana. Scene di guerriglia e strade sporche fanno ripiombare Napoli nell’incubo munnezza. Ma non era tutto risolto?”, si chiedeva il 24 settembre 2010 Famiglia Cristiana, mentre nelle vie del centro erano riapparsi i sacchetti neri per la strada, rievocando le stesse immagini del 2008. E mentre il discusso termovalorizzatore di Acerra aveva smesso di fare ‘o miracolo, della raccolta differenziata promessa non c’era ancora traccia. “A Napoli, di fatto, non è mai partita”, spiegò, sempre al settimanale cattolico, Michele Buonomo, presidente di Legambiente Campania. Quanto al termovalorizzatore d’Acerra, aggiunse, “per ora funziona solo 1 linea su 3”. Risultato: “Stiamo assistendo a un film che si ripete da ormai 16 anni con uno unico copione: quello del gioco dello scaricabarile sulle responsabilità”.

Una vicenda emblematica, quella della Campania, che dimostra come, in realtà, neppure un inceneritore può fare miracoli. Quel che è certo, tornando alle tensioni delle ultime ore tra M5S e Lega, è che nel contratto di Governo di termovalorizzatori non c’è traccia. Anzi, si parla addirittura di “superamento degli inceneritori”. Dunque Salvini ha poco da “imporli”. A meno di non violare l’accordo con l’alleato Di Maio. Ma, polemiche a parte, forse ha ragione il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa: “Quando si arriva all’inceneritore, il ciclo dei rifiuti è fallito”.