Sacerdoti dell’esercito. Arrivano i tagli all’organico. Il ministro Trenta: via il 25% dei preti. I loro stipendi li paga lo Stato e non la Chiesa

I sacerdoti militari dipendono dalla Chiesa cattolica ma sono pagati dallo Stato

Dipendono dalla Chiesa cattolica ma sono pagati dallo Stato italiano. Indossano l’abito talare ma portano anche le stellette che ne indicano il grado militare. Si tratta dell’esercito dei cappellani militari, sacerdoti che svolgono la propria missione nelle caserme o nelle missioni all’estero al seguito dei soldati italiani, su cui presto si abbatterà la scure dei tagli annunciata dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta. Un riduzione pari al 25% dei cappellani che, secondo le stime, dovrebbe portare ad un risparmio di 3 milioni di euro all’anno.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il personale che appartiene all’Ordinariato Militare per l’Italia non è in sovrannumero anzi l’esatto opposto. Il loro organico, così come previsto dalle leggi, dovrebbe essere di 204 unità ma, stando ai dati da loro stessi forniti, in servizio ce ne sarebbero appena 140. Qualcuno potrebbe chiedersi come sarà possibile ottenere il risparmio preannunciato visto che non parliamo di uno sterminato numero di dipendenti. Il nodo del discorso è tutt’altro, ossia i loro stipendi che sono equiparati a quelli dei più alti gradi dell’esercito e che, in alcuni casi, superano i 100 mila euro annui. Per questo anche il taglio di un numero relativamente basso di unità, comporta un notevole risparmio di denaro per l’intera collettività.

La polemica attinente la smilitarizzazione dei cappellani, è una questione annosa. I primi a sollevarla, furono gli esponenti del partito radicale. Una diatriba politica che ben presto si esaurì in un nulla di fatto e che venne quasi dimenticata fino alla nascita del Movimento 5 Stelle che, già quand’era all’opposizione, ne faceva un suo cavallo di battaglia. Del caso se ne occupò in prima persona il deputato M5S Paolo Bernini che a novembre del 2013 presentò un emendamento alla legge di bilancio per chiedere che a pagare gli stipendi dei cappellani militari fosse il Vaticano e non lo Stato italiano. Iniziativa che non trovò alcuna sponda nei partiti dell’intero arco politico ma che il Movimento continuò a portare avanti anche dopo la vittoria alle elezioni come testimonia il provvedimento preannunciato dal ministro Trenta.

I preti appartenenti alla circoscrizione della Chiesa cattolica, guidata da Santo Marcianò, assimilata ad una diocesi ma equiparata ad un ufficio dello Stato, si occupano di fornire assistenza spirituale alle Forze armate. Per farlo vengono retribuiti con la stessa cifra percepita dai pari grado delle forze armate. Stando alle tabelle ministeriali questo si traduce in: 126 mila euro lordi all’anno per l’ordinario militare che risulta assimilato ad un generale di corpo d’armata; 104 mila per il vicario generale, equivalente al generale di divisione; 58 mila per il primo cappellano capo, equiparato al maggiore; 48mila per il cappellano, corrispondente al ruolo di capitano e 43mila per il cappellano addetto, assimilato al grado di tenente.