Salvini-Maroni, è guerra aperta. Il governatore della Lombardia attacca il leader della Lega: “Mi ha trattato con metodi stalinisti. Sulla giustizia abbiamo visioni diverse”

È scontro nella Lega tra il leader Matteo Salvini e il governatore (uscente) della Lombardia, Roberto Maroni. “Io sono una persona leale. Sosterrò il segretario del mio partito. Lo sosterrò come candidato premier. Ma da leninista, non posso sopportare di essere trattato con metodi stalinisti e di diventare un bersaglio mediatico solo perché a detta di qualcuno potrei essere un rischio”, la stilettata lanciata dall’ex ministro dell’Interno dalle colonne del Foglio.

“Consiglierei al mio segretario – ha aggiunto Maroni rivolgendosi a Salvini – non solo di ricordare che fine ha fatto Stalin e che fine ha fatto Lenin ma anche di rileggersi un vecchio testo di Lenin. Ricordate? L’estremismo è la malattia infantile del comunismo. Se solo volessimo aggiornarlo ai nostri giorni dovremmo dire che l’estremismo è la malattia infantile della politica”. Maroni ammette che fra i tratti di incompatibilità culturale con il suo segretario c’è anche un’idea diversa del rapporto che deve avere la politica con la giustizia: “Possiamo dirlo. È così. È questo uno dei tanti motivi che mi hanno spinto a ragionare su un futuro diverso, lontano da un modo di fare politica”.

“Devo anche riconoscere – ha proseguito Maroni – che in questi giorni sono stato massacrato dai miei compagni di squadra, che hanno scelto di dare alla mia vita nuova un’interpretazione del tutto arbitraria, mentre sono stato ricoperto di affetto e amicizia da un mondo politico lontano da me, e questo mi ha colpito”. Maroni si riferisce a un sms ricevuto da Matteo Renzi, e “tanti altri. Ma una telefonata – ha rivelato – mi ha fatto particolarmente piacere: quella di Giorgio Napolitano. Siamo stati quindici minuti al telefono, con simpatia e affetto, ha riconosciuto che la mia è stata una scelta coraggiosa, e lo ringrazio, ha detto che noi del 1955 siamo fatti così, vale per me e vale per Veltroni, e che a un certo punto abbiamo bisogno di prendere aria e di pensare alla nostra vita”. Maroni parla anche del Jobs Act, dicendo che non va rottamato: “Non scherziamo. Se mai, migliorato. Purtroppo tutto questo non si può dire perché in campagna elettorale, e vale anche per questa campagna elettorale, da una parte e dall’altra ci sono spesso valutazioni su questi temi che prescindono dal merito, frutto di perversi atteggiamenti ideologici in base ai quali tutto quello che è stato fatto prima di noi deve essere cancellato. Questa non è politica, è propaganda”.

“Purtroppo – ha osservato – bisogna essere sinceri e dire che la campagna ricca di propaganda è causata anche da una legge elettorale che costringe in un modo o in un altro a essere tutti gli uni contro gli altri”.

Riflessioni che a via Bellerio non sono piaciute granché. “La Lega di Salvini è questa. Prendere o lasciare. Come era la lega di Bossi. C’è spazio per Maroni così come per tutti. L’importante è rispettare le regole”, ha replicato il capogruppo leghista al Senato, Gian Marco Centinaio, ai microfoni di Radio anch’io (Radio1) commentando l’intervista di Maroni.

Sul fronte giudiziario, intanto, non è stato neppure necessario presentare una richiesta di sospensione per la campagna elettorale: ascoltati gli ultimi testimoni nell’udienza del 25 gennaio, il processo milanese a Maroni riprenderà dopo le elezioni del prossimo 4 marzo. Così hanno deciso i giudici del Tribunale di Milano, senza nessuna richiesta ad hoc da parte della difesa. La sentenza potrebbe dunque arrivare nel mese di maggio, quando a guidare la regione Lombardia ci sarà un altro governatore.