Un lento ma inesorabile smantellamento del Servizio Sanitario Nazionale. È con parole dure che Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha aperto la presentazione dell’ottavo Rapporto sul SSN alla Camera dei Deputati. “Stiamo assistendo – ha detto – a un processo che spiana la strada agli interessi privati, condannando milioni di persone a rinunciare non solo alle cure, ma a un diritto fondamentale: quello alla salute”.
Cartabellotta ha parlato senza giri di parole di un sistema “agonizzante”, dove le disuguaglianze crescono e sempre più cittadini sono costretti a pagare di tasca propria o a rinunciare alle prestazioni sanitarie. “Da anni i governi promettono di difendere la sanità pubblica, ma nessuno ha avuto la visione e la determinazione per rilanciarla con risorse e riforme adeguate”, ha aggiunto.
Il rapporto Gimbe fotografa un Paese dove la sanità privata si espande a ritmi sostenuti. Dei quasi 30mila presidi sanitari italiani, il 58% è privato accreditato, e in settori come la riabilitazione o l’assistenza residenziale la prevalenza supera l’80%. Nel 2024 la spesa pubblica destinata al privato convenzionato ha toccato i 28,7 miliardi di euro, mentre quella “out of pocket” – pagata direttamente dalle famiglie – è esplosa: tra il 2016 e il 2023 è aumentata del 137%, raggiungendo oltre 7,2 miliardi.
Sanità pubblica in crisi: l’allarme della Fondazione Gimbe sul declino del Servizio Sanitario Nazionale
Dietro i numeri del finanziamento pubblico si nasconde però un’altra verità. Dopo i tagli del decennio 2010-2019 e la parentesi pandemica, il Fondo Sanitario Nazionale è cresciuto solo sulla carta. Tra il 2023 e il 2025 passerà da 125 a 136,5 miliardi di euro, ma l’inflazione e i costi energetici hanno eroso gran parte delle risorse. In rapporto al PIL, la quota di spesa sanitaria è scesa dal 6,3% del 2022 al 6,1% del 2024-2025. In termini reali, spiega la Fondazione Gimbe, “il taglio alla percentuale di PIL ha fatto perdere alla sanità oltre 13 miliardi di euro”.
Il rischio, avverte Cartabellotta, è che senza un deciso rifinanziamento del SSN le Regioni saranno costrette a scegliere tra ridurre i servizi o aumentare le tasse locali. Una prospettiva che si scontra con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, secondo cui la tutela della salute è una “spesa costituzionalmente necessaria” che lo Stato è obbligato a garantire.
Le altre criticità della Sanità pubblica
A rendere il quadro ancora più allarmante è la crescita della spesa privata sanitaria. Secondo i dati Istat, nel 2024 ha toccato i 47,6 miliardi di euro, di cui ben il 86,7% pagati direttamente dalle famiglie. Si tratta di un fenomeno che ha costretto quasi 6 milioni di italiani a rinunciare a cure e prestazioni sanitarie, con forti disparità territoriali: si passa dal 5,3% di rinunce nella Provincia autonoma di Bolzano al 17,7% in Sardegna.
E proprio le differenze tra Nord e Sud continuano a scavare un solco profondo. Solo 13 Regioni rispettano i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), mentre il Sud resta indietro, costringendo migliaia di cittadini a spostarsi per curarsi altrove. La mobilità sanitaria vale oltre 5 miliardi di euro: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto raccolgono quasi tutto il saldo positivo, mentre Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Lazio registrano pesanti deficit.
Un’Italia spaccata anche nell’aspettativa di vita, che varia dagli 84,7 anni della Provincia di Trento agli 81,7 della Campania. “È un segnale drammatico – ha concluso Cartabellotta – del fallimento dei Piani di rientro e dei Commissariamenti: al Sud si vive una sanità peggiore, si spende di più per curarsi e si pagano imposte più alte”.
Un appello, quello del presidente Gimbe, che suona come un ultimatum: senza un intervento strutturale, il diritto alla salute rischia di trasformarsi da garanzia universale a privilegio per pochi.