Uno studente su otto nelle scuole italiane non ha la cittadinanza italiana. È il dato che emerge dal rapporto “Chiamami col mio nome. Un’indagine sugli studenti con background migratorio nelle scuole italiane” diffuso oggi da Save the Children, alla vigilia della riapertura delle aule. Secondo lo studio, nell’anno scolastico appena concluso il 12,2% della popolazione scolastica – circa 865mila alunni – era privo di cittadinanza, un valore quadruplicato rispetto al 2002-03, quando si fermava al 3%.
La presenza di studenti di origine straniera rappresenta una risorsa preziosa per un Paese alle prese con un grave calo demografico, ma la scuola italiana fatica a garantire percorsi inclusivi, con forti divari rispetto ai coetanei italiani.
Ritardi, abbandoni e divari negli apprendimenti
Gli studenti con background migratorio registrano tassi più alti di ritardo scolastico (26,4% contro il 7,9% degli italiani) e di dispersione implicita: il 22,5% tra i ragazzi di prima generazione, contro l’11,6% dei coetanei italiani. Il dato migliora per le seconde generazioni (10,4%), ma resta comunque significativo. Più di un quarto degli studenti senza cittadinanza non completa le scuole superiori.
Le prove Invalsi confermano i divari: punteggi più bassi in italiano e matematica, seppure più alti in inglese. A incidere sono fattori socioeconomici, discriminazioni nell’orientamento e fenomeni di segregazione scolastica, come il cosiddetto white flight, ovvero la fuga di famiglie italiane da scuole con una forte presenza di alunni stranieri.
Geografia della presenza
In valori assoluti è la Lombardia a registrare il maggior numero di studenti senza cittadinanza (oltre 231mila, un quarto del totale), seguita da Emilia-Romagna e Veneto. In termini percentuali, invece, guida l’Emilia-Romagna (18,4%), seguita da Lombardia (17,1%), Liguria (15,8%), Veneto (15,2%) e Toscana (15,1%). In coda Molise, Puglia, Campania e Sardegna, con meno del 4%.
Scelte scolastiche condizionate
Gli studenti con background migratorio tendono a scegliere percorsi tecnici e professionali più orientati al lavoro, anche quando i risultati scolastici sarebbero compatibili con l’accesso ai licei. La condizione economica e, in alcuni casi, pregiudizi e stereotipi contribuiscono a orientare le famiglie verso percorsi considerati “più sicuri”, ma meno valorizzanti sul lungo periodo.
Questa tendenza si riflette anche nell’istruzione universitaria: solo il 3,9% degli iscritti proviene da famiglie senza cittadinanza italiana. Un divario che rischia di escludere migliaia di giovani da opportunità professionali più qualificate, alimentando un circolo vizioso di disuguaglianze.
Save the Children: “Investire sul futuro del Paese”
“Chiamare con il loro nome questi ragazzi e ragazze significa valorizzarli, contrastare la segregazione formativa e ogni forma di xenofobia e razzismo, dare libero corso alle loro capacità e aspirazioni”, ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice ricerca di Save the Children.
Il rapporto sottolinea come il riconoscimento della cittadinanza italiana abbia un impatto positivo sul rendimento scolastico e sul futuro occupazionale dei giovani. Investire in inclusione, sostiene l’organizzazione, non è solo una questione di giustizia sociale ma anche una necessità economica, in un Paese che registra tra i più bassi livelli di laureati in Europa.