Scandalo San Raffaele, la procura apre un fascicolo conoscitivo: si valuta l’interruzione di pubblico servizio

Dopo la notte horror la procura apre un fascicolo. Tra dosaggi di farmaci sbagliati, cartelle errate e impreparazione

Scandalo San Raffaele, la procura apre un fascicolo conoscitivo: si valuta l’interruzione di pubblico servizio

Un atto dovuto. Ieri la procura di Milano ha aperto un’inchiesta conoscitiva dopo i disastri che si sono verificati durante il fine settimana di Sant’Ambrogio (tra il 6 e il 7 dicembre) nel reparto cure intensive dell’ospedale privato-convenzionato San Raffaele di Milano.

Un fascicolo solo conoscitivo (per adesso)

Per il momento il fascicolo aperto è un modello 45, quello degli atti non costituenti notizia di reato e senza indagati. Ieri la procuratrice aggiunta Tiziana Sicialiano, a capo del sesto dipartimento Tutela della salute, ambiente e lavoro, ha ricevuto le prime due informative dei Nas dei carabinieri giunti mercoledì pomeriggio per verifiche nel reparto Iceberg dell’ospedale e della squadra mobile di Milano. L’indagine è stata assegnata al sostituto Paolo Filippini.

Diversi i profili che la Procura sarà chiamata a vagliare prima ancora di decidere se sussista un’ipotesi di reato. Le indagini dovranno analizzare le eventuali gare o gli affidamenti diretti di un intero reparto a una cooperativa esterna (al primo giorno di lavoro) che, come denunciato anche dai sindacati, avrebbe mostrato errori di comunicazione, logistici, nella gestione dei turni e di formazione del personale sanitario-infermieristico, con scarsa conoscenza della lingua italiana, delle procedure cliniche, dei dosaggi dei farmaci.

Da valutare inoltre se sia trattato di un errore, temporaneo, o di una precisa scelta del management dell’IRCCS. I pm Filippini-Siciliano (quest’ultima sarà in pensione dalla prossima settima e il suo posto di aggiunto sarà ricoperto da Paolo Ielo, appena arrivato da Roma) potrebbero valutare l’ipotesi di interruzione di pubblico servizio.

La veste giuridica del San Raffale: privato ma convenzionato

Preliminarmente però bisogna capire la ‘veste’ giuridica di un ospedale privato che offre prestazioni del Servizio sanitario nazionale, grazie alle convenzioni con Regione Lombardia. Difficile l’ipotesi di lesioni sui pazienti ai quali sono stati somministrati quantitativi sbagliati di farmaci in assenza di referti medici e querele da parte degli stessi pazienti.

Le denunce inascoltate dei sindacati

A sollevare il caso, che è costato la poltrona dell’amministratore unico Francesco Galli, l’uomo chiamato dal Gruppo San Donato a sforbiciare i costi e con il quale i sindacati di medici e infermieri erano entrati da subito in forte contrasto, erano stati gli stessi sindacati. La Rappresentanza sindacale unitaria (Rsu) aveva infatti reso noto un documento nel quale si segnalava “il grave pericolo in cui si trovano i pazienti ricoverati”.

Allegata c’era una serie di mail interne circolate tra i medici del reparto di Medicina alta intensità, admission room e cure intensive e la direzione sanitaria, nelle quali si riportava la totale impreparazione del personale gettonista.

Personale cooptato per coprire i turni di un festivo. Una situazione tanto grave, da spingere i medici al blocco degli ingressi dal pronto soccorso nei reparti ad alta intensità e al trasferimento dei ricoverati. Nei mesi precedenti alla notte da incubo, i sindacati avevano denunciato anche le continue dimissioni di infermieri dai reparti incriminati e la scelta di affidarli a una cooperativa, mentre gli infermieri interni venivano concentrati sui pazienti in solvenza.

Coina: “Messe a rischio le vite dei pazienti”

“Quello che è accaduto a Milano, nel reparto di cure intensive del San Raffaele è l’ennesima conferma che il Servizio sanitario nazionale sta scivolando verso un modello improvvisato, dove reparti ad alta intensità vengono affidati a personale esterno non formato, con rischi gravissimi per i pazienti”, ha commentato ieri Marco Ceccarelli, Segretario nazionale Coina (Sindacato delle Professioni Sanitarie).

“Qui non parliamo soltanto di una gestione sbagliata – spiega- Parliamo di un modello che mette a repentaglio la sicurezza delle cure: operatori che non conoscono i protocolli, dosaggi sbagliati, terapie non registrate, addirittura presunte difficoltà linguistiche”.

La piaga dei gettonisti

Ceccarelli richiama poi i dati ufficiali dell’Anac: “Dal 2019 al 2024 le Regioni hanno speso 2 miliardi e 141 milioni di euro per personale a gettone. Nel solo 2023 si erano già superati 1,8 miliardi, e per il 2024 è previsto un ulteriore incremento di 314 milioni, cui si aggiungono 457,5 milioni stanziati dalle aziende sanitarie. Il pubblico non è in crisi perché mancano le risorse, ma perché le risorse vengono allocate male”.

Il paradosso, osserva il Segretario Coina, è diventato sistema: “In Italia mancano almeno 70mila infermieri. E mentre i dipendenti del Ssn sono pagati 1.500 euro al mese, gli stessi professionisti, dimettendosi, rientrano come gettonisti nelle stesse aziende con compensi doppi. È un cortocircuito economico e organizzativo che incentiva l’abbandono del pubblico e svuota i reparti”. Il problema è che a volte, a fare i gettonisti, non sono solo professionisti preparati usciti dai reparti. Come il caso San Raffaele dimostra in maniera lampante.