Scuola, stipendi fermi: chi guadagna e chi resta indietro

Docenti pagati il 16% in meno della media Ocse, forbice con gli stipendi dei dirigenti +72%: la scuola perde soprattutto i profili STEM.

Scuola, stipendi fermi: chi guadagna e chi resta indietro

Gli insegnanti italiani restano indietro. I dati dell’ultimo rapporto Education at a Glance dell’Ocse collocano la loro retribuzione ben al di sotto della media internazionale: un docente di scuola superiore con 15 anni di carriera percepisce circa 44mila dollari a parità di potere d’acquisto, contro i 50–55mila dei colleghi medi Ocse. In Germania e Paesi Bassi la soglia arriva a 65mila. Nel complesso, i professori italiani guadagnano il 16% in meno dei pari livello negli altri Paesi avanzati.

Il divario è ancora più evidente se confrontato con i laureati. In Italia lo stipendio dei docenti si ferma sotto i tre quarti del salario medio di un lavoratore con titolo universitario, mentre la media Ocse sfiora il 95%. La conseguenza è che insegnare continua a essere percepito come un ripiego, un impiego stabile ma scarsamente riconosciuto.

Il vertice guadagna, le aule no

Il quadro si ribalta osservando le retribuzioni dei dirigenti scolastici. In Italia guadagnano in media il 72% in più rispetto a un laureato medio, contro un differenziale del 45% nei Paesi Ocse. La forbice fra chi sta in cattedra e chi occupa degli uffici di presidenza è diventata il tratto strutturale del sistema. Secondo dati Indire ed Eurydice, lo stipendio di un dirigente può superare di oltre il doppio quello di un docente con 15 anni di servizio.

Si tratta di una dinamica che premia la funzione amministrativa e lascia in secondo piano quella didattica. La scuola italiana riconosce economicamente la gestione, non l’insegnamento. Una scelta che produce effetti sulla qualità complessiva: il corpo docente è demotivato, il turnover resta alto, le carriere si spostano altrove.

Le differenze nascoste: umanisti e scienziati

Dietro la media nazionale si celano però differenze profonde. Un’analisi di Tortuga sui microdati Istat 2021 mostra che gli insegnanti di materie umanistiche, letterarie e linguistiche guadagnano leggermente meglio dei laureati dello stesso settore che lavorano altrove, salendo di mezzo o un intero decile nella distribuzione dei redditi. Il quadro si capovolge per gli insegnanti di discipline scientifiche: chi ha una formazione STEM e sceglie la scuola scende di un decile rispetto ai coetanei impiegati nel privato, dove stipendi d’ingresso e progressioni restano sensibilmente più alti.

È la fotografia di una scuola che non solo retribuisce poco in media, ma soprattutto penalizza i profili scientifici. Proprio quelli di cui l’Italia ha maggiore bisogno per colmare ritardi cronici su matematica, tecnologia e competenze digitali.

Le implicazioni di policy sono chiare. Gli studi internazionali mostrano come stipendi più competitivi riducano l’abbandono della professione e migliorino i risultati degli studenti. Continuare con aumenti indistinti a pioggia rischia di lasciare intatto il problema: un sistema che trattiene soprattutto i laureati umanistici e perde i profili più richiesti dal mercato.

Secondo l’Ocse, per invertire la rotta serve un doppio binario: recupero generale delle retribuzioni e incentivi mirati alle discipline in maggiore scarsità, in particolare quelle scientifiche. Le analisi di Tortuga insistono sulla necessità di differenziali retributivi legati a formazione e responsabilità, per rendere l’insegnamento una scelta competitiva anche per chi proviene dalle facoltà STEM. I sindacati di categoria chiedono inoltre di rafforzare le carriere orizzontali che riconoscano il valore della professionalità didattica, mentre associazioni di presidi e ricercatori propongono maggiore trasparenza nei criteri di retribuzione dei dirigenti scolastici.