Sulla Libia tutti contro Di Maio. Ma il peggiore fu Frattini. Paghiamo ancora la sciagurata guerra del 2011. Nel mirino però c’è chi cerca di rimediare

La politica estera è materia difficile e complessa. Figurarsi quando il nodo del contendere è la polveriera del Medioriente, un vero e proprio campo minato nel quale deve districarsi il titolare della Farnesina. Non è un caso che l’indiscusso prestigio di cui gode il ministro degli Esteri rispetto agli altri componenti del Governo comporti, oltre a tanti onori, altrettanti oneri. In questi giorni Luigi Di Maio è stato messo sotto accusa per la gestione dei due dossier più delicati e spinosi del momento, quelli della Libia e dell’Iran. Ma se sul secondo l’Italia non può che giocare un ruolo defilato, non essendo direttamente coinvolta, lo stesso non si può dire per il primo. E non solo per gli antichi legami storici tra Roma e Tripoli, ex colonia italiana ma ancora strategica sul piano geopolitico e dei nostri interessi nazionali.

Innanzitutto per quelli dell’Eni, il colosso petrolifero pubblico che proprio in Libia svolge parte consistente della propria attività. Ma anche per le politiche di controllo del fenomento migratorio che, nella stessa Libia, ha trovato la principale base di partenza dei barconi della speranza alla volta del nostro Paese dopo la caduta del regime del colonnello Muhammar Gheddafi, abbattuto per volontà e mano della Francia alla cui dissennata operazione militare che destabilizzò l’intera regione i governi di mezza Europa – compreso quello italiano – non ebbero la forza di opporsi.

Di Maio, ma anche il premier Giuseppe Conte, stanno lavorando senza risparmiarsi ad una soluzione diplomatica della crisi per arrivare ad una pace o, quantomeno, ad una tregua duratura tra le fazioni armate dei due contendenti, il governo della Tripolitania, guidato da Fayez al-Serraj, e quello della Cirenaica, affidato al generale Khalifa Haftar. Invocando l’invio dei caschi blu delle Nazioni Unite nella regione, Di Maio ripete, saggiamente, che la soluzione non può che essere politica e che la violenza e la guerra, oltre a non risolvere un bel nulla, possono semmai contribuire ad aggravare la situazione.

Ma chi critica l’operato della Farnesina ha la memoria corta. Dimenticando – o fingendo di non ricordare – che l’attuale situazione in Libia è figlia dell’incapacità dell’allora governo italiano – presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – incapace di contrastare l’improvvido bombardamento deciso dall’Eliseo che, era chiaro a tutti sin da subito, avrebbe finito per danneggiare soprattutto l’Italia. L’attacco, voluto a tutti i costi dal presidente Nicolas Sarkozy (con il sostegno degli Usa di Barak Obama) e che la Francia iniziò da sola sguinzagliando i suoi caccia sui cieli sulla Libia, fu, se non avallato di certo neppure osteggiato dall’allora ministro degli Esteri, Franco Frattini. Fermo restando il via libera di Berlusconi e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla successiva missione Odyssey Dawn con Usa, Danimarca e Norvegia. Da allora la Libia – ma anche l’Italia – sta pagando lo scotto della guerra civile. Ogni tanto, chi critica l’attuale Di Maio, farebbe bene a ricordarsi di Frattini.