Taglio delle rivalutazioni. Stangata per i pensionati

La Lega e i sindacati chiedevano di consentire l’uscita dal mondo del lavoro con 41 anni di contributi versati ma senza alcun requisito anagrafico.

Se c’è una cosa su cui tutta la maggioranza è d’accordo in materia di pensioni, è che si doveva fare di tutto per scongiurare il ritorno alla legge Fornero. E se si guarda alla manovra economica approvata lunedì notte dal Consiglio dei ministri, appare chiaro che la missione è riuscita com’è altrettanto evidente che deve esserci stato un confronto serrato che ha portato a qualche sorpresa.

La Lega e i sindacati chiedevano di consentire l’uscita dal mondo del lavoro con 41 anni di contributi versati ma senza alcun requisito anagrafico

Questo perché alla fine si è trovata la quadra su Quota 103, ossia sui 41 anni di contributi versati e 62 anni di età, mentre la Lega, tra l’altro supportata dai sindacati, chiedeva di consentire l’uscita dal mondo del lavoro con 41 anni di contributi versati ma senza alcun requisito anagrafico.

Prorogata anche opzione donna che permetterà di andare in pensione già a 58 anni per chi ha due figli o più, a 59 con un figlio e 60 in altri casi particolari. Sempre in materia di pensioni è stato anche rifinanziato il bonus Maroni che prevede una decontribuzione del 10% da applicare a tutte quelle persone che decidono di restare a lavoro pur avendo già maturato l’età o i contributi necessari per Quota 103.

Tra le tante novità legate alla manovra c’è il taglio delle rivalutazioni per le pensioni più alte

Tra le tante novità legate alla manovra, a far discutere c’è soprattutto il taglio delle rivalutazioni per le pensioni più alte. Qualche settimana fa il ministro Giancarlo Giorgettiaveva firmato un decreto che prevedeva un adeguamento pari al 7,3% per tutte le pensioni mentre ora, dopo l’approvazione della manovra, si è deciso di concedere un incremento inferiore per quelle considerate più alte.

A questo punto è lecito chiedersi quali assegni siano considerati tali e si scopre che sono quelli pari o superiori a 2.100 euro lordi al mese, ossia 1.670 euro netti. E tutto ciò, secondo Spi-Cgil, si traduce in una perdita media pro-capite di oltre 1.200 euro all’anno per 4,3 milioni di pensionati.

“L’adeguamento delle pensioni al costo della vita subirebbe così una drastica riduzione in particolare per quei pensionati che hanno lavorato e versato i contributi per 40 anni e oltre e che non percepiscono affatto un assegno alto ma di 1.800 netti al mese”.

Per la Cgil il governo si appresta a compiere l’ennesimo danno ai pensionati

Insomma secondo i sindacati “il governo si appresta a compiere l’ennesimo danno ai pensionati utilizzandoli come bancomat per recuperare risorse e negando loro la possibilità di recuperare una parte del loro potere d’acquisto. Una scelta iniqua assunta senza alcun confronto”.

 

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