Trent’anni di Forza Italia e di danni al Paese: ecco il lascito di Berlusconi

Trent'anni di Forza Italia e di Berlusconi: dai rapporti con la mafia al partito azienda, tra leggi ad personam e sete di potere.

Trent’anni di Forza Italia e di danni al Paese: ecco il lascito di Berlusconi

Trent’anni fa, il 18 gennaio del 1994, Forza Italia si affaccia ufficialmente sulla scena politica italiana. Sei mesi prima – era il 29 giugno del 1993 – nello studio del notaio Roveda a Milano, Marcello Dell’Utri, Antonio Tajani, Cesare Previti e altri professionisti vicino a Silvio Berlusconi avevano registrato l’associazione “Forza Italia! Associazione per il buon governo” ripescando lo slogan elettorale della Democrazia cristiana usato qualche anno prima.

Il peccato originale di Berlusconi

Berlusconi dal canto suo non potè non iniziare con una sequela di bugie. Inizia a parlare di politica (e da politico) fin dal 1992, dicendosi però impossibilitato dal mettersi a capo di un partito. Così per tutto il 1993 sono diverse le situazioni in cui l’ex Cavaliere nega di essersi messo in moto. Anzi, quando a ottobre del ’93 il quotidiano Repubblica mostra alcuni documenti di organizzazione politica Berlusconi accusa il gruppo Repubblica-l’Espresso di metter in atto una campagna tesa alla distruzione del suo gruppo.

È il vittimismo teso a distruggere l’avversario che l’ex presidente del Consiglio (e altri presidenti del Consiglio dopo di lui) adotterà per tutta la vita. C’è da scommetterci che oggi, nel trentennale, si parlerà poco o quasi niente del ruolo della mafia. Tra i fondatori di Forza Itali c’è quel Marcello Dell’Utri condannato in via definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa perché portava a Cosa Nostra le buste di denaro di Silvio, ogni sei mesi, dal 1974 al 1992. Per la Corte di Cassazione l’ex senatore Dell’Utri era il trait d’union tra l’imprenditore di Arcore e le cosche siciliane al quale arrivavano grosse somme di denaro e quei pagamenti non si sarebbero conclusi nel 1992 ma sarebbero proseguiti fino a dicembre 1994, quando Berlusconi non era solo un imprenditore ma Presidente del Consiglio. “Vi è la prova – scrivono i giudici – che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”.

“Ciò dimostra – si legge sempre nelle motivazioni della sentenza – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori”.

Forza mafia

Ma non c’è solo la mafia siciliana. Il 24 febbraio del 1994, mentre era in corso la campagna elettorale, al tribunale di Palmi, durante un processo, Giuseppe Piromalli – capostipite della cosca di Gioia Tauro di ‘Ndrangheta, padre dell’omonimo boss (soprannominato “Facciazza”) che verrà arrestato anni dopo accusato anche di estorsione ai danni dei gestori dei ripetitori Fininvest – prese la parola gridando dalla cella: “Voteremo Berlusconi, voteremo Berlusconi”. Un altro politico di prima grandezza condannato definitivo a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa è Antonino D’Alì, ex senatore ed ex sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006. Per i giudici è considerato vicino alla mafia trapanese e a Matteo Messina Denaro. Altro politico colpito dal reato di contiguità con la criminalità organizzata è Nicola Cosentino. Napoletano di Casal di Principe è stato deputato dal 1996 al 2013 per Forza Italia e PDL e nel quarto governo Berlusconi è stato sottosegretario all’Economia e Finanze. Per i giudici era il referente politico del clan dei Casalesi.

Mediaset

Trent’anni di Forza Italia e 30 anni di sdoganamento del partito azienda in cui la politica è il mezzo per raggiungere altri scopi. Dal Decreto Biondi (1994) in poi sono circa una quarantina le leggi “ad personam” che Forza Italia ha varato per difendere gli interessi di Finivest (poi diventata Mediaset) e per arginare i processi in corso. Le televisioni di Berlusconi sono state le armi bianche per bombardare la verità e fare della propaganda una quotidiana e incessante narrazione. Con Forza Italia il conflitto di interessi permanente è diventata una virtù, un trofeo di potenza da esibire in faccia agli avversari politici. Il mito dell’imprenditore che “si è fatto da solo” fingeva di non sapere quanto avesse influito sul fatturato la vicinanza con Craxi prima e l’occupazione dei posti di comando poi. Forza Italia è solo un tassello della fitta rete di salvataggio indispensabile per continuare a galleggiare, come lo era il Milano e come erano (o sono?) le reti televisive.

Nel solco di Berlusconi

Trent’anni anni di Forza Italia e Berlusconi rimane imprescindibile, anche se non c’è più. Il partito con la furiosa paura di scomparire con il suo padrino per ora rimane legato alla famiglia Berlusconi da un debito economico importante. Ieri fonti vicini ai figli di Silvio “che il credito verso FI non è mai stato in discussione. Al contrario, la famiglia intende continuare a sostenere il partito, anche in virtù dell’affetto per la creatura politica cui Silvio Berlusconi ha dedicato gli ultimi 30 anni della sua vita”. “Questo supporto, ovviamente – dicono le fonti – deve affiancarsi all’impegno di Forza Italia a proseguire nel percorso, peraltro già intrapreso, di rafforzamento della propria dotazione finanziaria”.

Trent’anni anni dopo la famiglia Berlusconi incide tranquillamente sulla politica nazionale senza bisogno di stare dentro al partito e Forza Italia è legata a doppio filo con le aziende, anche senza Silvio. La memoria, si sa, è una spinta troppo flebile per tenere in piedi l’azione politica. Ora bisognerà vedere se Forza Italia sarà utile anche per il resto. Ancora una volta.