La Manovra, la quarta del governo Meloni, che ieri è stata approvata definitivamente dalla Camera, è emblematica della politica economica delle destre. Una politica che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dice essere improntata alla prudenza ma che noi preferiamo chiamarla Austerity. Ossequiosa del rigore di Bruxelles, con l’obiettivo di portare l’Italia fuori dalla procedura per deficit eccessivo per avere maggiori margini per le spese in difesa (leggi riarmo), ha impatto zero sulla crescita. Positiva nell’ottica dello spread e delle pacche sulle spalle delle agenzie di rating, ha effetti nulli sulla vita di lavoratori – specie quelli a basso reddito – e pensionati.
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Trionfano l’Austerity e il rigore. Conti in ordine ma zero crescita: l’eredità del 2025
Il 2025 lascia un’eredità di dati macroeconomici sconfortante e allarmante. Dopo una breve interruzione è ripresa la serie negativa della produzione industriale italiana che ad ottobre ha ritrovato un netto segno meno con un calo dell’1% sul mese precedente. Un segno che riguarda praticamente tutti i settori, ad eccezione dell’energia, e che sta erodendo con effetti progressivi posti di lavoro, consumi, crescita. Non vanno meglio i dati trimestrali – tra agosto e ottobre il livello della produzione è diminuito dello 0,9% rispetto ai tre mesi precedenti – né quello su base annuale che è comunque in flessione anche se con un livello meno accentuato (lo 0,3%). E con questo siamo a 32 mesi di calo su 36 del governo Meloni.
Occupazione sale ma con salari da fame
Il tasso di occupazione, che misura la quota di persone occupate tra i 15 e i 64 anni, si attesta al 62,7 per cento, in leggero aumento rispetto al 62,4 per cento di fine 2024. Nonostante questi miglioramenti, il livello di occupazione italiano resta il più basso d’Europa. Il miglioramento, poi, ha riguardato soprattutto gli over 50, con un aumento di 413 mila occupati. Nelle altre fasce d’età l’occupazione è invece diminuita. Peraltro l’apporto che l’occupazione dà alla crescita è risibile proprio perché è caratterizzata da bassi salari. È un modello economico che favorisce investimenti ad alta intensità di lavoro in settori a basso contenuto tecnologico, prevalentemente in servizi maturi come bar e ristoranti che hanno bassa produttività. Un’economia da bar.
Complessivamente, le retribuzioni contrattuali in termini reali a settembre 2025 risultano inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli registrati a gennaio 2021 (dati Istat). I lavoratori italiani guadagnano meno di quanto guadagnavano 30 anni fa e meno dei lavoratori di Francia, Germania, Spagna. Giorgia Meloni anche recentemente è tornata a dire che la pressione fiscale sale – mai così tanto come negli ultimi dieci anni – perché oggi lavora un milione di persone in più. Come hanno spiegato gli economisti Massimo Bordignon e Leonzio Rizzo su lavoce.info la pressione fiscale è un rapporto tra entrate e Pil e i maggiori redditi degli occupati entrano anche nel Pil, cioè nel denominatore del rapporto. Se la pressione fiscale cresce, è perché i redditi dei lavoratori sono tassati di più degli altri redditi. Da qui si spiega anche la contraddizione tra un mercato del lavoro che aumenta e una crescita anemica.
Crescita anemica
L’Istat conferma per quest’anno un Pil pari allo 0,5% e allo 0,8% nel 2026. Già Bruxelles aveva gelato il governo Meloni. La Commissione europea vede una crescita a rilento per l’Italia proprio mentre Eurozona e Ue corrono più delle attese. Nel confronto europeo, Roma resta nelle retrovie: quest’anno fa meglio solo di Finlandia, Germania e Austria, nel 2026 è davanti alla sola Irlanda e nel 2027 è proprio ‘fanalino di coda’. Quanto a Eurozona e Ue, la crescita acquisita ha superato le previsioni secondo la Commissione europea, che stima per l’intero anno un Pil in aumento dell’1,3% nell’area euro e dell’1,4% nell’Ue.
Povertà in aumento
Secondo i dati resi noti dall’Istat, nel 2024 sono oltre 2,2 milioni le famiglie in condizione di povertà assoluta per un totale di 5,7 milioni di individui, il 9,8% dei residenti. Tra le famiglie con persona di riferimento occupata, l’incidenza di povertà nel caso sia lavoratore dipendente è pari all’8,7%, salendo al 15,6% se si tratta di operaio e assimilato. Oltre 6 milioni di lavoratori non arrivano a 1.000 euro al mese (Cgil).
Sanità allo sfascio
E tra bollette alle stelle e l’impennata dei prezzi dei beni alimentari, aumenta il numero delle persone che rinuncia a curarsi. Nel 2024 (dati Istat) il 9,9% della popolazione, pari a circa 5,8 milioni di persone, ha dichiarato di aver rinunciato a visite o terapie a causa di attese eccessive, costi troppo elevati o difficoltà logistiche, in aumento rispetto ai 4,5 milioni del 2023. Mentre, secondo Gimbe, in rapporto al Pil la quota di ricchezza del Paese destinata alla sanità scenderà sotto la soglia “psicologica” del 6% nel 2028.