Ucraina, sangue a Sloviansk

di Alessandro Banfo

Scontri con morti e feriti e tentativi della diplomazia internazionale che cadono puntualmente nel vuoto. La caotica situazione in Ucraina sembra ripercorrere sempre lo stesso copione, che però potrebbe sfociare in una guerra aperta, non esattamente quello che si definisce un “lieto fine”.
Anche ieri il Paese ha vissuto una giornata di grande tensione, con i conseguenti sforzi diplomatici che rischiano di essere superati dal precipitare degli eventi. Ancora una volta è stata Sloviansk, roccaforte della protesta secessionista filorussa, a fare da protagonista di questa sanguinosa contrapposizione. Nella cittadina si sono registrati combattimenti molto intensi, con morti e feriti da entrambe le parti.
Il ministero degli Interni ucraino ha reso nota la morte di alcuni civili e quattro membri delle forze dell’ordine, oltre al ferimento di circa 30 agenti, accusando i ribelli di usare la popolazione come scudi umani e di dar fuoco alle case. Ma anche questa volta sulle cifre è partito il consueto balletto delle parti. Gli insorti hanno invece parlato di una decina di morti e circa 25 feriti tra le loro fila. Le forze di autodifesa hanno anche abbattuto un elicottero dell’esercito ucraino.

Stato di guerra
Una cosa è certa: a Sloviansk è stata guerra. A confermare gli scontri è stato il ministro dell’Interno ucraino, Arsen Avakov. L’esponente del governo di Kiev, che si trovava a un checkpoint a circa sei chilometri dai luoghi di combattimento, ha parlato di morti e feriti, senza tuttavia precisarne il numero né il campo cui appartengono. Le tattiche in campo sono ormai note: le truppe ucraine stanno avanzando nel centro città, mentre i separatisti si stanno ritirando dai checkpoint della periferia. Ma anche ieri, come spesso capita nel “copione” ucraino, a contribuire ad alzare la tensione in Ucraina ci ha pensato la Russia.
Mosca ha chiesto una reazione internazionale nella crisi ucraina “senza partito preso” minacciando altrimenti “conseguenze distruttive per la pace, la stabilità e lo sviluppo democratico dell’Europa”. Le dure parole sono arrivate dal Libro Bianco, presentato dal ministero degli Esteri russo al Cremlino, che denuncia violazioni di massa dei diritti umani “delle forze ultranazionaliste, estremiste e neonaziste”. Il documento denuncia numerosi episodi di violazione dei diritti umani tra la fine novembre e fine marzo, con informazioni basate su media russi, ucraini, occidentali, sulle dichiarazioni dell’attuale dirigenza di Kiev e dei suoi sostenitori, testimonianze oculari, monitoraggi e interviste in loco da parte di ong russe. Sul fronte della diplomazia internazionale sono tanti i tentativi in ballo, nella speranza che ilo tavolo della trattativa non venga rovesciato.
Il presidente di turno dell’Osce, lo svizzero Didier Burkhalter, incontrerà Putin a Mosca il 7 maggio e i due discuteranno – ha spiegato Berlino dopo il colloquio tra il cancelliere Angela Merkel, e il capo del Cremlino – i termini per avviare un «dialogo nazionale» grazie alla mediazione proprio dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Sarebbe una conferenza di pace, dopo il flop di Ginevra,

La mediazione
Ma c’è di più. Per tentare la mediazione sugli scontri, la Commissione europea, preoccupata che gli scontri possano avere ripercussioni sull’Unione europea, ha fissato un incontro con il governo ucraino il martedì 13 maggio a Bruxelles. La delegazione dell’esecutivo di Kiev è previsto sia guidata dal primo ministro Arsen Yatseniuk. Nel corso dell’incontro deve essere fatto il punto sulle iniziative destinate «ad aiutare e sostenere il processo di riforme economiche e politiche che nel breve e nel lungo termine, deve essere portato avanti per raggiungere l’obiettivo comune di un’Ucraina democratica, indipendente e prospera». Bruxelles ha anche confermato che entro maggio, più precisamente a metà e a fine mese, si svolgeranno due nuove riunioni a tre – Ue, Ucraina e Russia – per cercare di risolvere i problemi che minacciano la continuità delle forniture di gas russo a Kiev, ma anche ai Paesi dell’Ue.