L’austerity è tornata. Non che ci abbia mai lasciato, considerando che già le ultime manovre del governo Meloni avevano visto più tagli che misure per la crescita. Ma per la prossima Legge di Bilancio potrebbe andare persino peggio. Non solo per le sforbiciate da 10 miliardi già annunciate, ma perché quei pochi soldi che si investiranno finiranno in gran parte nel riarmo. Con ben 23 miliardi aggiuntivi, da qui al 2028, da spendere per il settore della Difesa. Il testo del Documento programmatico di finanza pubblica, licenziato dal Consiglio dei ministri, prevede una Manovra da 16 miliardi, di cui due terzi provenienti dai tagli di spesa.
Attraverso il deficit verranno finanziate misure per 2,3 miliardi, mentre verrà confermato un deficit al 2,8% del Pil nel 2026. La crescita sarà, come ormai noto, minima: solo +0,5% nel 2025 e poi +0,7% nel 2026. Per l’Ufficio parlamentare di bilancio queste stime sono “accettabili”, anche se restano “molteplici rischi” al ribasso. La Legge di Bilancio finanzierà interventi per un ammontare medio annuo (fino al 2028) di circa 0,7 punti percentuali di Pil.
Una Manovra col freno a mano tirato
Come accennato, il finanziamento arriverà in parte grazie alle entrate e per il 60% attraverso interventi sulla spesa. Quindi parliamo di circa 6,5 miliardi di entrate e circa 10 dai tagli. Tra gli interventi annunciati c’è la “ricomposizione del prelievo fiscale riducendo l’incidenza del carico sui redditi da lavoro”. Ovvero, probabilmente, il taglio dell’Irpef per il ceto medio (redditi fino a 50mila euro). Inoltre “si garantirà un ulteriore rifinanziamento del fondo sanitario nazionale”, oltre alle misure a sostegno della natalità e della conciliazione vita-lavoro, a partire dal potenziamento dell’integrazione del reddito mensile di 40 euro per le lavoratrici madri.
Un altro intervento riguarderà le misure per stimolare gli investimenti alle imprese, oltre a investimenti pubblici che si attesteranno al 3,4% del Pil. Nulla, invece, si dice sulle pensioni: né per quanto riguarda l’uscita anticipata dal lavoro né per le rivalutazioni degli assegni, che potrebbero anche essere rivisti al ribasso. Bisogna poi capire se ci sarà un reale aiuto alle imprese colpite dai dazi: dei 25 miliardi promessi dalla presidente del Consiglio per ora non c’è traccia.
Il braccio armato
Una delle poche certezze per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è che bisognerà aumentare le spese in difesa per inseguire l’obiettivo Nato. Non verranno definiti “puntuali programmi di spesa” già da questa Manovra, ma si avrà un incremento “graduale” con l’incidenza sul Pil che può crescere fino a 0,5 punti percentuale entro il 2028. Ovvero 11,5 miliardi in più. Evitando “brusche accelerazioni della spesa” che porterebbero a una corsa agli acquisti che “rischierebbe di generare soltanto un aumento dei prezzi”. A fare i conti sulle spese militari ci pensa l’osservatorio Milex: si punta ad arrivare dall’attuale 2% (circa 45 miliardi) al 2,5% (61 miliardi). Un aumento che vuol dire: 3,5 miliardi in più rispetto a oggi nel 2026, 7 miliardi in più nel 2027 e 12 miliardi in più nel 2028. Sommando queste cifre si arriva a 23 miliardi spesi in più in tre anni. L’austerity sì, ma non per le armi.