Vedi Napoli e muori… prima. Italia a due velocità? Per il sociologo De Rita la politica da 50 anni sbaglia tutto

Vedi Napoli e muori... prima. Italia a due velocità? Per il sociologo De Rita la politica da 50 anni sbaglia tutto

Un Paese a due velocità. Anche per quanto riguarda la dimensione socio-demografica. E a farne le spese, manco a dirlo, sono le Regioni del Sud, dove le persone hanno una speranza di vita più bassa. Specie in Campania. Un dato su tutti: se a Napoli l’aspettativa di vita è 80,6 anni, a Rimini e a Firenze si arriva. Fra gli italiani più longevi ci sono inoltre quelli più istruiti, mentre godono di peggiori condizioni di salute coloro che non raggiungono la laurea. Disuguaglianze acuite anche dalle difficoltà di accesso ai servizi sanitari che penalizzano la popolazione di livello sociale più basso con un impatto significativo sulla prevenzione. Questo è il quadro che emerge dalla ricerca dell’Osservatorio nazionale della salute nelle regioni italiane, un progetto dell’Università Cattolica. Uno dei dati che più colpisce, però, è come detto quello relativo all’incidenza dell’istruzione sulle aspettative di vita. In Italia, un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea. Tra le donne la differenza è minore, ma sempre significativa: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate. “La dimensione dell’istruzione – commenta a riguardo con La Notizia il professore Giuseppe De Rita, presidente del Censis – è certamente legata a una capacità di vivere più a lungo. Se sono laureato ho un rapporto diverso col mio corpo e col sistema sanitario. Mi organizzo diversamente la dieta, tanto per dire. Ciascuno di noi, se ha più istruzione, ha una determinata capacità di gestirsi”. C’è, tuttavia, un ma: “Bisogna approfondire il dato. La dimensione del rapporto tra istruzione e malattie croniche è certamente importante; ma è anche vero che ci sono malattie croniche come l’Alzheimer o la demenza senile, che non hanno a che fare con l’istruzione o con la dimensione geografica”. Insomma, per De Rita “il valore macro del dato non è da accentuare eccessivamente”.

Errori madornali – Resta, tuttavia, il dato della distanza tra Nord e Sud, una distanza che ci portiamo avanti da tempo immemore. “Il problema del Mezzogiorno – ci spiega però De Rita – è stato sempre che se n’è guardato da un punto di vista economico; cominciare a parlare del Sud da un punto di vista sociale è un passo avanti, è un bene”. Insomma, lo studio dell’Osservatorio non dev’essere guardato solo in senso negativo, per l’approccio stesso con cui è stato realizzato. Un approccio che la politica ancora non coglie, dato che “in questi 50 anni è sempre stata centrata sull’economico e non sul sociale. Se arriva qualche spiraglio di discussione socio-demografico è un bene“. Anche se, specifica De Rita, “non si può avere solo un dato: il problema dev’essere tutto impostato”. Urge, dunque, che la politica si risvegli dal suo torpore: “Questo approccio sociale non è ancora diventato una politica. Quando si parla di Mezzogirono l’unico intervento cui si pensa è lo squilibro di reddito, la mancata industrializzazione e così via”. Ma, conclude De Rita, “con questi termini non andiamo lontani”.