Von der Leyen e la coalizione dei rancori: chi la sostiene lo fa per convenienza

La nuova alleanza instabile voluta da von der Leyen rischia di paralizzare l’agenda Ue: Green Deal, Cap e bilancio appesi a un filo

Von der Leyen e la coalizione dei rancori: chi la sostiene lo fa per convenienza

Nel secondo mandato da presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen governa su una maggioranza numerica che rassicura, ma politica che vacilla. I 401 voti che l’hanno confermata al Parlamento europeo nascondono un corpo legislativo in fermento, lacerato da fratture ideologiche profonde e da un clima di sfiducia che minaccia l’intera architettura della governance europea. Il caso emblematico è la direttiva sul greenwashing, ritirata sotto pressione del Ppe e dei suoi nuovi alleati a destra: un segnale inequivocabile della svolta strategica che la Commissione ha intrapreso, e del prezzo che rischia di pagare.

Maggioranza numerica ma non politica

La formula che ha garantito a von der Leyen un primo mandato relativamente stabile – una coalizione informale tra Ppe, Socialisti & Democratici (S&D) e Renew Europe – si è trasformata in una convivenza forzata, segnata da rancori e tatticismi. La decisione del PPE di spostarsi ancora più a destra, cercando alleanze estemporanee con i Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) e i Patrioti per l’Europa di Le Pen e Orbán, ha disarticolato il fragile equilibrio centrista. Il ritiro della direttiva contro il greenwashing, già in fase avanzata di negoziazione, ha rappresentato una rottura brutale: per i socialisti è stata una “umiliazione”; per i liberali, una violazione del metodo comunitario. Il risultato è una coalizione che esiste solo sulla carta e si regge su un patto di mutua necessità, non più su una visione comune.

Una strategia di potere che paralizza le riforme

Il nuovo corso politico promosso dal Ppe ha una logica precisa: polarizzare il dibattito per dettare l’agenda. Il green deal, cavallo di battaglia del primo mandato von der Leyen, è ora considerato un fardello economico da alleggerire. Le politiche ambientali vengono sacrificate sull’altare della competitività industriale, in una narrazione che sostituisce l’urgenza climatica con la deregolamentazione. Il rischio, però, è una paralisi del processo legislativo. I socialisti e i liberali hanno promesso ritorsioni: ostacolare il pacchetto di semplificazione delle norme ambientali (“omnibus”), bloccare le nuove regole sulle deportazioni, far naufragare la riforma della Politica Agricola Comune. Si profila uno scenario da guerra fredda parlamentare, in cui ogni dossier può diventare un campo minato.

Il prezzo della rielezione

Von der Leyen ha ottenuto la conferma a presidente della Commissione solo grazie a una serie di concessioni al suo stesso partito, il Ppe. Tra queste, la più simbolica è stata proprio il ritiro della direttiva sul greenwashing, percepita come un tributo dovuto alla svolta a destra del gruppo. Ma questo compromesso ha intaccato la sua reputazione di arbitra super partes e ha incrinato in modo permanente la fiducia dei suoi partner di maggioranza. Da figura di mediazione è diventata parte in causa, e ogni sua proposta sarà letta da ora in poi come una mossa tattica più che una scelta istituzionale.

Un equilibrio sempre più instabile

La crisi è resa ancora più grave dalla permeabilità tra politica nazionale e dinamiche parlamentari europee. La delegazione spagnola dei socialisti, dopo la perdita del potere a Madrid, potrebbe assumere una linea più oppositiva. La stessa Legge sul Ripristino della Natura è stata approvata solo al termine di un iter tortuoso, con l’opposizione del governo italiano e il voto contrario di numerosi alleati. Il messaggio è chiaro: la fedeltà partitica non garantisce più la compattezza nei voti.

Un’Unione con il freno a mano tirato

Il secondo mandato di von der Leyen si apre sotto il segno dell’instabilità strutturale. Le riforme che l’Ue dovrebbe approvare per affrontare le crisi globali – dal clima alla politica migratoria, dalla sicurezza alimentare al bilancio – rischiano di arenarsi in una spirale di ritorsioni legislative. L’Unione non è paralizzata, ma rallentata. Von der Leyen ha vinto la presidenza, ma a costo di un capitale politico che ora si consuma dossier dopo dossier. La maggioranza c’è, ma non funziona. E l’Europa, in bilico tra necessità di governare e tentazioni di sabotarsi a vicenda, rischia di pagare il prezzo più alto.