World Inequality Report 2026: cosa rivela sull’Italia e sulle nuove disuguaglianze globali

Le nuove stime della ricchezza mondiale mostrano squilibri estremi. E l’Italia, data per “moderata”, nasconde un divario che cresce

World Inequality Report 2026: cosa rivela sull’Italia e sulle nuove disuguaglianze globali

Sette decenni dopo avere promesso pari dignità ai popoli, la geografia della ricchezza somiglia a una mappa sismica. Il World Inequality Report 2026 fotografa un pianeta in cui lo 0,001% – meno di sessantamila persone – controlla tre volte la ricchezza della metà più povera dell’umanità. Le linee di frattura non sono crepe marginali: sono faglie che attraversano climi, redditi, territori, generazioni e muovono la politica più di qualsiasi manifesto.

La faglia globale

È un catalogo di squilibri che si alimentano a vicenda. I ricercatori calcolano che il 10% più ricco concentra il 77% delle emissioni legate alla proprietà del capitale, mentre la metà più povera pesa appena per il 3%. Chi vive di rendita dispone anche del potere di inquinare, scegliere dove investire, spostare il carico dei danni su chi ha meno strumenti per difendersi. Allo stesso tempo, le disuguaglianze educative mostrano un divario di spesa pro capite che arriva a un rapporto superiore a 1 a 40 tra Africa subsahariana ed Europa: l’ascensore sociale è fermo ai piani alti, il pianerottolo sotto guarda il vano vuoto.

Nella parte invisibile dell’economia, quella abitata dal lavoro non retribuito, il rapporto scava più a fondo. Quando si sommano le ore di cura e domestiche alle ore pagate, le donne guadagnano in media appena il 32% del reddito orario maschile. È l’immagine di una modernità che pretende efficienza, innovazione, competitività, mentre si regge su un’economia gratuita che non riconosce, non misura, non protegge.

L’Italia e il divario che cresce in silenzio

Fin qui il mondo. Poi c’è l’Italia, inserita nel rapporto tra i Paesi con disuguaglianze “moderate”, ma comunque evidenti. A pagina 176 si legge che il 10% più ricco incassa il 32% del reddito nazionale, mentre il 50% più povero si ferma a poco più del 21%. La ricchezza racconta una storia ancora più netta: quel 10% detiene il 56% del patrimonio, e l’1% più ricco supera il 22%. È un’Italia che cresce poco ma concentra molto, dove il divario tra il primo decile e la metà più povera è salito da quasi 14 a quasi 15 volte nell’ultimo decennio, silenziosamente, senza mai diventare emergenza politica.

Anche la media nasconde la frattura. Il rapporto stima un reddito medio pro capite attorno ai 32 mila euro e una ricchezza media di circa 200mila euro a testa: l’istantanea di un Paese benestante che però lascia alla metà inferiore appena il 2,5% della ricchezza nazionale. Nelle statistiche, il ceto medio occupa il 40% centrale, con redditi equivalenti a quelli dei Paesi sviluppati e patrimoni importanti; negli uffici dei servizi sociali, quella stessa fascia si presenta con bollette arretrate e mutui appesi al tasso variabile.

Il divario di genere

La fotografia della partecipazione femminile sorprende per immobilità: 36,6%, praticamente la stessa di dieci anni fa. In un Paese che invecchia, dove il welfare familiare sostituisce quello pubblico, l’inerzia diventa strategia involontaria: meno donne nel mercato del lavoro significa meno contributi, meno autonomia, meno crescita. Ogni punto percentuale fermo è una generazione di ragazze cresciute con gli stessi limiti delle loro madri.

Le disuguaglianze non sono una legge naturale: sono l’effetto di decisioni fiscali, scelte di spesa pubblica, regole del lavoro, struttura del sistema finanziario. Ma mentre la ricchezza di miliardari e centi-milionari cresce da decenni a ritmi vicini all’8% l’anno, il resto del mondo arranca e la finestra per correggere la traiettoria si assottiglia. Anche per l’Italia, che continua a oscillare tra l’ambizione europea e un’economia che stratifica invece di distribuire. Le crepe non producono solo ingiustizia: producono sfiducia, astensione, rancore.

E la sfiducia, lo si legge tra le righe di ogni tabella del rapporto, è il terreno su cui la democrazia smette di essere un progetto condiviso e diventa un incidente statistico. Ma noi, imperterriti, continuiamo a essere il Paese dove la proposta di una patrimoniale agli straricchi risuona come una bestemmia.