Chiudere l’Ilva e delocalizzarla. Ecco come si risolve il problema. Parla Di Nicola (M5S): “Serve una decisione coraggiosa. Rincorrere le soluzioni del passato non porta a niente”

“Chiudere lo stabilimento Ilva di Taranto per delocalizzarlo a debita distanza dal centro abitato, ricostruendolo ex novo con nuove tecnologie e fonti energetiche meno inquinanti”. Non ha dubbi il senatore M5S, Primo Di Nicola, sull’unica soluzione che potrebbe sbloccare lo stallo sul destino del più grande polo siderurgico d’Europa: “Il mio timore – ammette – è che sull’Ilva anche questo Governo si stia infilando nello stesso vicolo cieco in cui si sono cacciati gli Esecutivi che lo hanno preceduto per tentare di risolvere una situazione obiettivamente ingestibile”.

Ingestibile perché?
“Finora sono state tentate soluzioni che hanno previsto il mantenimento dello stabilimento all’interno di Taranto mentre l’acciaieria continua ad inquinare. Con la conseguenza che, non solo il problema non è stato risolto, ma si è addirittura aggravato dal punto di vista economico – vedi le gestioni fallimentari del passato – e soprattutto sul piano della salute pubblica. Mi limito a citare un dato: secondo i periti nominati dalla procura di Taranto, in 7 anni, a causa delle malattie provocate dalle emissioni sono morte migliaia di persone. Sottoporre ai cittadini il dilemma tra diritto alla salute e diritto al lavoro mi pare, a questo punto, una vera follia politica”.

E la soluzione sarebbe chiudere lo stabilimento e delocalizzare?
“Se si vuole davvero investire sul futuro di Taranto non vedo altre alternative. Bisogna avere il coraggio di chiudere definitivamente lo stabilimento Ilva, come peraltro ci eravamo impegnati a fare in campagna elettorale, e ricostruirlo a debita distanza dal centro abitato secondo le più moderne tecnologie che consentano di alimentarlo con fonti di energia meno inquinanti”.

Ma quanto costerebbe e, soprattutto, chi dovrebbe pagare il conto dell’operazione?
“Lo Stato e i cittadini di Taranto stanno hanno già pagato e stanno pagando un conto salatissimo. Anche con Mittal, soprattutto se per convincere l’azienda a restare dovremo farci carico di altre migliaia di esuberi e di decurtazioni sul prezzo di acquisto. Si tratta di mettere in campo veicoli economico-finanziari e gruppi industriali seri e interessati a produrre acciaio in Italia sotto la regia dello Stato che, se necessario, deve intervenire con adeguate risorse”.

Ma non teme, invece, che l’Europa possa eccepire che l’operazione configuri aiuti di Stato?
“E perché? Quando si tira in ballo la possibilità di nazionalizzare lo stabilimento, come fanno diversi esponenti del Governo e della maggioranza, di cosa stiamo parlando? L’Europa piuttosto dovrebbe aiutarci ad utilizzare le risorse del suo New Green Deal”.

A proposito di posizioni in campo, i 5S – ma non tutti – dicono no allo scudo che il Governo, però, potrebbe utilizzare per convincere Arcelor a restare. Mentre Italia Viva presenta un emendamento per rentrodurlo…
“Queste diverse posizioni dimostrano che le forze di Governo non hanno, purtroppo, ancora un progetto per Taranto. Si tratta di idee così distanti che rivelano solo una deprecabile confusione e, forse, anche mancanza di coraggio”.

Neppure ricostruire lo stabilimento altrove come propone lei, però, è facile, non crede?
“E’ una domanda alla quale avrebbe dovuto rispondere, negli ultimi 10 anni, la nostra classe dirigente se, in mezzo a un plotone di politicanti, avessimo potuto scorgere almeno qualche statista”.

La domanda, però, resta…
“Mi limito a citare un solo esempio tra i tanti apparsi nelle ultime settimane sulla stampa. La China Oriental Group ha annunciato la costruzione di un nuovo impianto siderurgico a Fangchenggang, nel sud del Paese. Un impianto con una produzione di dieci milioni di tonnellate di acciaio all’anno a fronte degli 8 milioni troppo ottimisticamente previsti da Mittal: costo di realizzazione stimato, 4 miliardi di dollari; tempi di realizzazione previsti, 18 mesi. Se non siamo capaci noi di farne uno uguale in Italia, invece di pietire soluzioni dagli indiani di Mittal, potremmo almeno provare a cercare consigli o partner a Pechino”.