Dietro Renzi la carica dei lobbisti con il piede in due staffe. Così gli affari si fanno strada all’interno dell’esecutivo

di Stefano Sansonetti

Non c’è niente da fare, la moda dei lobbisti con il piede in due staffe è dura a morire. E così si moltiplicano i casi di personaggi che agiscono all’interno di Governo o Parlamento e allo stesso tempo ricoprono ruoli “esterni”. L’ultima novità in ordine di tempo porta il nome di Action Institute. Di cosa si tratta? Di uno dei tanti think tank sorti in Italia, ufficialmente come laboratori “indipendenti” di idee, molto più prosaicamente strutture portatrici di interessi variegati. Ebbene, non molto tempo fa il pensatoio ha messo nero su bianco un dossier in cui propone una nuova disciplina italiana per fondi i venture capital, quelli che dovrebbero investire capitale di rischio in nuove imprese ad alto potenziale di sviluppo. Sulla carta nulla quaestio. Ma chi c’è dietro Action Institute? E qui arrivano le sorprese.

I NOMI
Si dà infatti il caso che al timone del think tank ci sia Carlotta De Franceschi, ex banker di Goldman Sachs, Morgan Stanley e Credit Suisse. Ma soprattutto uno dei componenti del gabinetto dei consiglieri economici del presidente del consiglio Matteo Renzi. Il tutto, come emerge dalle griglie pubblicate sul sito del governo, a un compenso di 150 mila euro per un incarico annuale che scadrà il 31 agosto del 2015. Banche e società estere, dietro ad Action Institute, si sprecano. Nel comitato di indirizzo, per dire, siede Stefano Visalli, pezzo grosso di McKinsey, una delle più importanti società di consulenza del mondo. Accanto a lui troviamo Alessandra Genco, manager di Finmeccanica, anche lei con un trascorso quinquiennale in Goldman Sachs. Qualche tempo fa il pensatoio ha elaborato una proposta, in collaborazione con Unicredit, il cui obiettivo è quello di sviluppare un mercato di fondi di venture capital più grandi di quelli attualmente operanti in Italia. Si propone l’istituzione di una fattispecie giuridica per i fondi che investono almeno il 70% in società innovative, accompagnata da esenzioni fiscali su redditi e capital gain derivanti dall’investimento.

IL PIANO
Si ipotizza poi l’utilizzo di un meccanismo di “fondo di fondi” come strumento di attrazione di fondi stranieri. Il tutto, si legge, “accompagnando l’intervento a una politica fiscale mirata, sul modello israeliano”. Peraltro non è il solo riferimento al sistema israeliano contenuto nel dossier. Nelle premesse, infatti, viene lamentata la mancanza in Italia di “una politica volta alla promozione di un polo d’eccellenza ed attrazione nel digitale, sull’esempio di Berlino, Londra, New York e Tel Aviv”. Del resto la De Franceschi agisce a palazzo Chigi sotto il coordinamento di tutti i consulenti economici affidato a Yoram Gutgeld, renziano di ferro, economista israeliano naturalizzato italiano e già uno dei più importanti esponenti mondiali di Mc Kinsey.

LO SCENARIO
Del resto gli interessi per i rapporti con Israele sono coltivati, sempre all’interno dell’entourage renziano, da Marco Carrai. Il quale, lo scorso 31 ottobre, scrisse una lettera al Corriere della sera in cui prospettava per l’Ue e l’Italia la possibilità di acquistare gas da un maxigiacimento recentemente scoperto al largo della costa israeliana, ribattezzato “Leviathan”. Di sicuro, tornando ad Action Institute, appare come minimo irrituale che una consulente del governo si faccia promotrice di una proposta come capo di un’associazione che dietro ha manager che lavorano per istituzioni private. Un po’ lo stesso caso che si è verificato mesi fa al ministero della salute, dove l’associazione Nova, presieduta dal deputato Pd Federico Gelli, anche lui renziano di ferro, ha fatto pervenire al ministro Beatrice Lorenzin una proposta di digitalizzazione della sanità sostenuta da alcuni big dell’informatica come Telecom, Engineering, Exprivia e Dedalus.

Twitter: @SSansonetti