Il bando del Mibac non va. Fumata nera al Vittoriano

di Martino Villosio

Non solo le proteste dei dipendenti contro le carenze nell’organico e il taglio dei salari, l’ennesimo autogol nazionale del Colosseo chiuso per i sciopero all’accesso dei turisti, il contorno inevitabile di polemiche furiose. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la scorsa settimana, ha inghiottito un altro boccone amaro: sono state depositate infatti le motivazioni con cui il Tar del Lazio, il 19 aprile scorso, ha annullato il bando di gara pubblicato all’inizio del 2013 dal Mibac per l’affidamento degli spazi espositivi e dei “servizi aggiuntivi museali” all’interno del Complesso Monumentale del Vittoriano.è una storia lunga, quella che ruota intorno alla concessione di attività quali l’organizzazione di mostre, la gestione della biglietteria e degli ascensori panoramici, il servizio di caffetteria e di bookshop all’interno del monumento costruito a fine ottocento per celebrare l’epopea risorgimentale e prontamente ribattezzato dai romani come la “macchina da scrivere”.

L’arrivo dei privati
Anche se la legge Ronchey del 1993, che ha aperto all’ingresso dei privati nella gestione in concessione dei servizi museali, prevede la selezione di operatori attraverso apposite gare statali, le mostre e le attività di accoglienza e ristorazione nel Vittoriano furono affidate nel 2002 dal Ministero dei Beni Culturali in via diretta alla società Comunicare Organizzando, fondata nel 1995 da Alessandro Nicosia e dalla moglie Maria Cristina Bettini (cugina del big del Pd romano Goffredo).
L’allora Presidente della Repubblica Ciampi aveva deciso di riaprire il Monumento a Vittorio Emanuele II agli italiani, e si scelse la via dell’assegnazione senza gara con trattativa privata, secondo quanto previsto dal decreto 157 del 1995 in casi di particolare urgenza.
Negli ultimi dieci anni, la gestione in concessione dei servizi museali è rimasta nelle mani di Comunicare Organizzando, a cui nel 2005 fu rinnovato l’affidamento.
Una condizione che però ha fatto storcere il naso agli altri operatori del settore e in particolare a Confcultura, l’associazione che raggruppa i principali concessionari dei servizi museali italiani.
Fino a quando, proprio all’inizio del 2013, la Direzione Regionale per i beni Culturali e Paesaggistici del Lazio ha deciso di mettere finalmente in palio la gestione dei servizi all’interno della porzione di Vittoriano che ricade sotto la sua competenza, con un bando di gara succulento, per attività che vanno dalla pianificazione di raccolta fondi all’accoglienza, dalla realizzazione di eventi e mostre alla gestione della caffetteria, passando per il controllo dei criticatissimi (e remunerativi) ascensori panoramici.
Peccato che, una volta letto il disciplinare di gara, quattro imprese abbiano deciso di fare ricorso prima ancora di partecipare.

La contesa
Le società definiscono il bando illegittimo perché “tende a contrarre irragionevolmente il numero degli aspiranti concorrenti, per effetto degli immotivati stringenti requisiti prescritti per la partecipazione alla selezione”.
Anche per l’associazione Confcultura, che a febbraio di quest’anno ha spedito una lettera all’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, i requisiti richiesti nel disciplinare di gara sono “palesemente anticoncorrenziali”. In pratica, nessuna società possiederebbe tutt i vari requisiti previsti.

La gestione
Il Tar ha accolto quasi tutte le critiche al bando dei ricorrenti. Adesso, in attesa che venga predisposta la prossima gara, la gestione dell’Altare della Patria resta nelle mani di Alessandro Nicosia, eccellente organizzatore di mostre ma anche bravo a coltivare rapporti politici ad alto livello e rigorosamente bipartisan: è infatti amico di Rutelli e di Alemanno, oltre ad aver lavorato moltissimo con il Quirinale.
Il Vittoriano, in ogni caso, non rappresenta un’eccezione nel panorama dei siti italiani: tutte le gare per la gestione dei servizi aggiuntivi museali nei principali gioielli della Penisola (Pompei, gli Uffizi, Colosseo compresi) sono bloccati oramai dal 2010 dai ricorsi delle imprese, che contestano vizi di legittimità e scarsa sostenibilità economica dei diversi bandi.