Le aziende di Stato affondano il Paese

Di Sergio Patti

Sono stati appena nominati, ma nessuno sta remando contro il Paese quanto i nuovi top manager delle grandi aziende di Stato. Il governo ci mette la faccia per salvare la trattativa tra Alitalia ed Etihad? Ecco il nuovo Amministratore delegato delle Poste, Francesco Caio, che si mette di traverso, chiede di rinegoziare tutto e rischia di far saltare la compagnia italiana. Renzi annuncia a destra e sinistra che il punto centrale del suo governo è l’occupazione? Arriva Claudio Descalzi, messo dallo stesso Renzi a capo dell’Eni e taglia in un colpo solo tremilacinquecento posti in Sicilia, in quella povera Gela dove non c’è famiglia che non abbia perso un parente o un amico per l’inquinamento delle raffinerie. Cornuti e mazziati, gridavano ieri in corteo i dipendenti del cane a sei zampe e dell’indotto. Dopo la salute, adesso perderanno pure il lavoro. E non finisce qui.

Fiducia zero
Mentre Palazzo Chigi chiede fiducia nel futuro, Descalzi, Starace (dell’Enel), Caio e compagnia cantante tagliano completamente i budget pubblicitari delle loro aziende aggravando esponenzialmente la crisi non di qualche singola testata, ma dell’intero comparto editoriale. Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore e via via tutti gli altri giornali lasciati a secco. Perché comunicare ai lettori evidentemente adesso è ritenuto superfluo. Altre migliaia di posti di lavoro in bilico. E buio fitto su cosa fanno – se fanno – queste aziende. L’alibi è razionalizzare i costi, migliorare i bilanci di società che fino adesso hanno fatto utili, anche importantissimi, senza lasciare a piedi il Paese. D’altronde in tempi in cui da Fiat a Lottomatica è di moda scappare all’estero, l’italianità sembra diventare un fastidio. E come è accaduto nel modello televisivo, dove la Rai pubblica non ha saputo fare qualcosa di diverso dalla Mediaset privata, allo stesso modo le grandi partecipate pubbliche stanno inseguendo una stretta logica di mercato, cercando un ipotetico utile nel breve periodo a costo di spingere ancora più in basso l’economia. Se salta tutto poi vedremo con che perdite gigantesche. Il divario tra quello che dice di voler fare il governo e quello che fanno i manager imposti dallo stesso esecutivo è talmente stridente che nasce così il sospetto di un corto circuito. O di un gioco delle parti, dove qualcuno a questo punto bleffa.

Padoan azzoppato
Mettiamo il caso del Def, il documento di programmazione economica e finanziaria, su cui si basa una parte consistente della credibilità del premier. Questo documento ha una parte già saltata e una che rischia di saltare. La parte che non sta in piedi è quella del gettito fiscale, calcolato su una previsione di crescita del Paese stimata nello 0,8%. Se va bene invece quest’anno arriveremo allo 0,2%. Se poi anche le partecipate dello Stato continueranno a metterci del proprio per farci tornare in recessione, allora questo dato potrebbe essere persino peggiore. La parte del Def che rischia di saltare è invece quella legata alle entrate da privatizzazioni, sulle quali il ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan ha impegni perentori soprattutto rispetto ai vincoli europei. Tra queste entrate ci sono almeno 4 miliardi derivanti dall’offerta sul mercato di una quota di Poste Italiane. Un governo che mette nero su bianco una tale priorità e poi nomina il manager di Poste, avrebbe il dovere di pretendere che Poste esegua il mandato, Il nuova Ad, Caio, invece ha già fatto sapere che non se ne parla nemmeno di andare in Borsa quest’anno.

Impegni traditi
È chiaro che c’è più paura di fare flop che fiducia nei propri mezzi e in quelli dell’azienda. E in un Paese normale chi non attua la missione affidatagli dall’azionista, si fa da parte, spiega le sue ragioni e se ne va. Oppure se ne va il governo. perchè a Palazzo Chigi non possono far finta di non vedere. A meno che dietro gli impegni economici ed elettorali non ci sia un gioco delle parti. Il governo promette sostegno all’economia e poi gli uomini che ha appena mandato a guidare le grandi aziende fanno il lavoro sporco e chiudano quel poco che c’è ancora in piedi. Siamo di fronte dunque alla scelta di uomini sbagliati. O di uomini che stanno facendo un lavoro pericoloso per il Paese.