Parla il nipote di Churchill. L’Europa può essere unita solo rispettando le diversità

di Giulia Aloisio Rafaiani

Quando Randolph Churchill è venuto al mondo, il suo bisnonno Winston era già in coma. Ma nonostante la sua vita si sia incrociata solamente per pochi giorni con quella dell’illustre antenato, quando Randolph parla del suo bisnonno dà ai suoi interlocutori l’idea di conoscerlo nel profondo. Guidandoci attraverso le Churchill War Rooms, le stanze sotterranee in cui Winston Churchill e i suoi alleati hanno scritto la storia, Randolph Churchill ci ha parlato del suo bisnonno, della sua visione sull’Europa e di come pensa che approccerebbe le tematiche chiave del mondo moderno. Quando entriamo nella Cabinet Room, Mr Churchill prende posto sulla sedia su cui sedeva Winston durante i comizi con i leader inglesi internazionali, spesso fumando l’amato sigaro. “Tutto qui è rimasto intatto,” spiega Mr Churchill. “Su questa sedia, per esempio, si può ancora vedere il segno lasciato dall’anello di mio nonno, che ora indosso”, continua, indicando i graffi sul bracciolo della sedia di legno e mostrando l’anello.

Iniziamo l’intervista parlando del cinquantesimo anniversario della morte di Winston Churchill, avvenuta nel gennaio del 1965. “È stato straordinario,” afferma Mr Churchill, commosso. “Nonostante il freddo, 50mila persone hanno preso parte alla commemorazione. Questo perché mio nonno ha dato ai cittadini europei una nuova speranza.”

Certamente il suo bisnonno è stato il perno sul quale il mondo occidentale si è basato negli anni della Seconda Guerra Mondiale, il più grande promotore di valori come la libertà e la democrazia. Come pensa che il mondo occidentale si sia evoluto, in termini di valori, da quando Winston Churchill se n’e andato?

Siamo una generazione privilegiata, rispetto a quella del mio bisnonno. Viviamo in un mondo dove esistono libertà, democrazia, rispetto per i diritti delle donne e per le persone. Il mondo occidentale rappresenta un faro per molte popolazioni provenienti da Paesi oppressi, governati da dittature e vittime della crisi dei rifugiati. E Winston Churchill è tutt’ora l’emblema di quei valori che fanno dell’Occidente un ambito porto. Come lui stesso diceva, infatti, “la democrazia non è necessariamente la miglior forma di governo, ma è migliore di tutte le altre”.

Ha citato la crisi dei rifugiati, uno dei molti problemi che rende il mondo di oggi più complesso e frammentato rispetto al passato, insieme alla povertà e agli estremismi. In questo contesto, pensa che sia ancora possibile proteggere i valori dell’Occidente?

Tramandare i valori fondamentali alle nuove generazioni è certamente una sfida. Tuttavia, nonostante le tante crisi che imperversano in giro per il mondo, abbiamo un vantaggio rispetto al passato: siamo parte di una famiglia globale. Ai tempi del mio bisnonno, chi nasceva in Italia, in Francia o in Germania era destinato a vivere, studiare o lavorare nel proprio Paese. Oggi le cose sono cambiate. Nello stesso luogo convivono persone di diverse nazionalità, educate in diverse parti del mondo. Ciò significa che, oltre a proteggere i nostri valori, la sfida più grande è imparare a rispettare anche ciò che è diverso da noi, essendo tolleranti verso le altre religioni, per esempio.

Parlando di una famiglia globale e al tempo stesso di un mondo frammentato, sorge spontaneo pensare all’ormai imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue. Anche alla luce di questo referendum, pensa che sia ancora possibile avere un’Europa unita? Quale pensa che sarebbe la posizione di suo nonno a riguardo?

Riguardo alla situazione attuale, nessuno può immaginare ciò che direbbe il mio bisnonno. Di certo, sarebbe entusiasta nel vedere una Germania unita, a seguito della caduta del muro di Berlino, o una Polonia libera, cosa per cui ha lottato ma della quale non è riuscito a vedere la realizzazione. La Gran Bretagna è sempre stata una nazione molto indipendente, ma mio nonno è sempre stato promotore di un’Europa unita e collaborativa, come disse durante il suo discorso a Zurigo, nel 1946. La realtà è che oggi abbiamo un mercato libero estremamente vantaggioso e questo avvicina molto i Paesi europei. La sfida è creare un’Ue in cui i membri cooperino, ma in cui ciascuna nazione mantenga il proprio bagaglio culturale. Per quanto riguarda la posizione della Gran Bretagna, il mio pensiero è che è normale che ogni nazione abbia la propria visione dell’Europa; diciamo che in questa fase la visione britannica differisce leggermente dalle altre…

Ha nominato il libero mercato che, insieme all’innovazione e alla competitività, è uno dei valori portanti dell’Occidente. Pensa che per promuovere e proteggere questi valori, oltre a un’Europa unita, si dovrebbe puntare alla creazione di un fronte occidentale composto da Europa e Stati Uniti, che miri anche ad affrontare la sfida competitiva che proviene dall’Asia, sotto il profilo politico, economico e sociale?

Il mio bisnonno era una grande promotore del libero mercato, ed è alla sua posizione che m’ispiro per rispondere a questa domanda. Credo che maggior libertà si dia alle persone, migliori siano le opportunità che ci si prospettano e meglio interconnesso sarà il mondo. Penso che ogni Paese debba contribuire con i propri valori e le proprie eccellenze alla nostra famiglia globale e ritengo riduttivo concentrarsi soltanto su una collaborazione con gli Stati Uniti. Se focalizziamo la nostra attenzione solamente sui grandi partner commerciali, ignoriamo una parte fondamentale del mondo, quella costituita dai mercati emergenti, ma anche dai Paesi recentemente liberati nell’Est Europa.

Dunque lei supporta la creazione di un fronte che unisca il mondo occidentale con quello orientale?

È fantastico quanto le persone siano integrate oggi. L’informazione è cosi accessibile che possiamo comunicare simultaneamente con persone locate in varie parti del mondo. Questo implica la possibilità di creare nuove amicizie o contatti lavorativi senza limiti geografici. Ergo, più barriere abbattiamo, maggiori le opportunità.

In questa famiglia globale, come pensa sia possibile conciliare i valori di cui abbiamo parlato sino a ora con la multiculturalità? Pensa che anche i Paesi emergenti, i cui mercati e i cui vissuti storici sono assai diversificati, condividano i nostri valori?

No, e penso che i nostri valori siano a rischio a meno che non ci assumiamo il compito di tramandarli ai Paesi emergenti, insegnando loro come rispettare i diritti umani ed eleggere un leader, spingendoli a diventare a loro volta democrazie. Penso che le nuove generazioni di tutto il mondo vogliano vivere in un universo più umano e migliore, perciò siano pronte ad apprendere ed evolversi. Allo stesso modo, anche la democrazia dev’essere in grado di evolversi, modernizzandosi per rapportarsi al meglio con il popolo.

Anche all’interno del mondo occidentale permangono molte disuguaglianze. Come pensa si possa intervenire su esse?

Nonostante le disuguaglianze, penso che gli europei siano molto fortunati: il tasso di povertà infantile, per esempio, è oggi più basso che mai. Certo, non godranno di ricchezze infinite, ma i cittadini dell’Europa vivono in una condizione privilegiata, specialmente se paragonata a quella di 70 anni fa, quando le famiglie non avevano neppure una casa in seguito alla seconda guerra mondiale, per non parlare di beni ancor più primari. Oggi siamo sani e godiamo di ottime risorse mediche, mentre allora l’aspettativa di vita poteva essere anche solamente di 45-50 anni. Dunque, dobbiamo ricordare a noi stessi quanto siamo fortunati.

Che siamo fortunati rispetto al dopo guerra è indubbio; tuttavia, anche all’interno della stessa Londra permangono situazioni di grande disagio economico e sociale, e vi sono zone a East London – come Tower Hamlets – dove il tasso di povertà infantile ha raggiunto il 49% nel 2014. Pensa che l’amministrazione di Londra stia agendo a sufficienza per combattere queste disuguaglianze? Quale ruolo ricopre in questo contesto la Chiesa anglicana?

Ciò che personalità come Winston Churchill ci insegnano è che una buona leadership è fondamentale per combattere le disuguaglianze. Ogni comunità che voglia crescere e prosperare ha bisogno di un buon leader. Nel caso di Londra, la capitale britannica è fortunata ad avere un sindaco come Boris Johnson, un leader forte che affronta in prima persona e disuguaglianze. Per quanto riguarda la Chiesa Anglicana, come ogni istituzione religiosa che si rispetti, ha un ruolo importante nel supportare le persone in difficoltà e facilitarne l’inserimento nella società. Ma la caratteristica eccezionale di Londra è che non soltanto la Chiesa Anglicana supporta la comunità, ma anche le chiese di altre religioni, che convivono a Londra senza paura o pregiudizi.

Passando a un argomento differente, quale pensa che sia il nemico interno più insidioso per l’Occidente moderno?

Certamente il debito, che rappresenta una minaccia per le future generazioni. L’indebitamento rende le persone schiave. Senza denaro, infatti, i giovani non potranno investire e avranno opportunità limitate.

A questo riguardo, quale pensa che sia il rapporto tra economia reale e finanza?

La finanza ha certamente un ruolo chiave nel mondo moderno: basti guardare a una città come Londra, alla quale la finanza permette di essere al centro del panorama mondiale e di essere interconnessa. Tuttavia, non si può tralasciare il ruolo complementare dell’economia reale, per creare un ambiente dove i giovani possano accedere a lavori e opportunità. I principi di base dell’economia sono cruciali, anche in un mondo dominato dalla finanza. Come diceva il mio bisnonno, “non si possono sfidare i principi economici: è come stare in piedi in un secchio e cercare di tirarselo in testa.”

Come ci ha detto, la finanza ha un ruolo essenziale a Londra. Pensa che, in caso di una possibile “Brexit”, Londra cesserebbe di essere al centro della finanza mondiale?

Assolutamente no. Infatti, rimarremmo parte del libero mercato. Nel 1974, gli inglesi hanno aderito a un’unione economica, senza la reale percezione di aderire a un’unione politica. Dunque, gli inglesi sono a favore dell’Europa e vorrebbero continuare a fare affari con gli altri Stati europei, ma non vogliono essere schiavi delle migliaia di norme burocratiche imposte da Bruxelles. Personalmente, essendo un Churchill, sono a favore dell’Europa unita e desidero rimanere al centro di essa, ma penso che dovremmo cogliere il referendum come un’opportunità non soltanto per rinegoziare i termini dell’adesione del Regno Unito, ma anche per ridefinire il concetto di Europa in sé, concedendo più autonomia e meno burocrazia agli Stati membri.

Nel corso di quest’intervista, ha mostrato più volte il suo spiccato interesse per il futuro dei giovani. Il ruolo dei giovani è cruciale per l’Europa: perché’ il suo futuro sia prospero, l’Occidente deve trasmettere ai giovani alcuni valori chiave, come la libertà d’espressione e la dignità. Un piccolo esempio di come ciò può essere fatto viene da Roma, dove Piazza Winston Churchill, dopo essere stata vandalizzata, è stata ristrutturata grazie alla volontà di un imprenditore italiano, Fabio Petroni. Petroni non si è arreso neppure a fronte di successivi atti di vandalismo: infatti, insieme al giornale online Britaly Post, ha istituito una nuova campagna di raccolta fondi per salvare la piazza. A essa seguirà un evento, il 12 dicembre prossimo, in cui verrà anche inaugurato un bookshop all’interno della piazza, al fine di mandare ai giovani un duplice messaggio: bisogna lottare e perseverare per ciò in cui si crede, e la chiave per farlo è la conoscenza, di cui la lettura è fonte primaria…

È musica per le mie orecchie sentire che a un imprenditore italiano sta così a cuore la piazza dedicata al mio bisnonno a Roma. Noi Churchill siamo particolarmente legati all’Italia. Pensi che uno dei cimeli che consideriamo più preziosi, nella casa del mio bisnonno nel Kent, è proprio la bandiera della Union Jack che era appesa a Roma nel giorno della liberazione. Tornando all’iniziativa, ritengo che l’idea di un bookshop sia fantastica. Senza la lettura, la società non può progredire. I giovani hanno bisogno di leggere per scoprire le storie del passato e acquisire i valori dei loro avi, al fine di usarli per creare un futuro migliore.

Il patrimonio racchiuso all’interno di questo museo costituisce una fonte d’ispirazione e conoscenza per i giovani. Come pensa sia possibile divulgare questo lascito ulteriormente, affinché’ non resti “relegato” tra quattro mura?

L’impegno della mia famiglia per divulgare il lascito di mio nonno non si limita al museo. La charity dedicata al mio bisnonno, il Winston Churchill Memorial Fund, provvede ogni anno a mandare 150 giovani di ogni background sociale all’estero affinché’ si specializzino al meglio nel loro campo di studio o lavoro. Il Winston Churchill School’s Debating Competition, invece, organizza dibattiti per ragazzi tra i 12 e i 18 anni, per fornire ai giovani gli strumenti per essere membri attivi della società ed esprimere le proprie idee.

Tra tutti gli insegnamenti di suo nonno, quale pensa che sia la miglior lezione di cui giovani possono fare tesoro?

La carriera di mio nonno non è stata tutta rose e fiori, ma lui non ha mai smesso di lottare. Ergo, il suo miglior insegnamento è di certo questo: mai, mai, mai arrendersi.