Renzi presenta una manovra con doppio finale. A decidere saranno gli immigrati e la Commissione di Bruxelles

di Stefano Sansonetti

Un po’ come in quei romanzi con il finale aperto a varie opzioni. Così, puntando come al solito sulla sua proverbiale “verve” comunicativa, Matteo Renzi ieri ha presentato la legge di Stabilità per il 2016 sdoppiandola: “la versione base è di 27 miliardi, quella accessoriata è di 30 miliardi”. In quel momento, accanto al presidente del consiglio, in conferenza stampa era presente un Pier Carlo Padoan alquanto silenzioso. Il fatto è che questa legge di Stabilità è tutt’altro che definitiva. Anzi, la si potrebbe quasi definire una Manovra “spalancata”, non soltanto perché durante il percorso parlamentare subirà i soliti cambiamenti, ma soprattutto perché è quanto mai appesa alle decisioni della Commissione europea.

IL NODO
Cosa significa, del resto, dire che la legge vale 27 miliardi in versione minima e 30 miliardi in versione massima? I 3 miliardi che ballano dipendono dalla possibilità di attuare a partire dal 2016 un minitaglio dell’Ires per le società, in attesa che il grosso dell’intervento arrivi nel 2017 come promesso dallo stesso Renzi poco prima dell’estate. Il problema è che questo taglio dell’Ires da 3 miliardi sul 2016 al momento non è coperto. Per poterlo condurre in porto è necessario sperare che Bruxelles ci consenta di sfruttare una sorta di clausola di flessibilità legata all’emergenza migranti. In altri termini, e sempre nella misura in cui la Commissione ci darà il disco verde, l’abbassamento dell’Ires da 3 miliardi (pari allo 0,2% del Pil) sarà finanziato in deficit. Su questa strategia, ad ogni modo, non ci sarebbe nulla da obiettare se lo stesso Governo non avesse annunciato mesi fa una spending review dagli esiti taumaturgici. Dieci miliardi di risparmi intelligenti, era stato detto. Ebbene, ieri in conferenza stampa è emerso definitivamente ciò di cui si era già sentito l’odore nelle scorse settimane: la spendind review contenuta in questa legge di Stabilità è stata dimezzata dall’Esecutivo, perché non varrà più di 5 miliardi. Inutile far notare che la fetta mancante avrebbe più che finanziato il minitaglio dell’Ires sul 2016 che adesso siamo disperatamente costretti ad contrattare con la Commissione europea.

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E qui arriviamo alla vera lacuna della manovra, ovvero una spending review troppo timida. Per carità, quello di Renzi non sarà certo il primo Governo ad aver drasticamente ridimensionato promesse di risparmio virtuoso che soltanto qualche mese fa venivano presentate con toni roboanti. Ma tant’è. Nel menù dei tagli, alla fine, in questa legge di Stabilità ci sono quelli che come al solito incidono sui ministeri, l’ennesima valorizzazione del ruolo della Consip (centrale unica di acquisti del Tesoro), qualche tentativo di non far crescere il numero dei dirigenti nella Pa. Il resto rimane nel limbo. Per esempio l’ormai sin troppo famoso taglio della partecipate, che ancora ieri Renzi ha detto di voler ridurre da 8mila e mille. Salvo poi ammettere che è necessario un decreto attuativo della legge Madia. Ma in realtà siamo solo all’inizio di un esame che sarà lungo e faticoso. Tanto più faticoso quanto incerta risulta oggi la sua partenza.

Twitter: @SSansonetti