Per la serie: se sei nei giri giusti, in Italia puoi fare quello che vuoi. Rula Jebreal testimonial di Carpisa. Alla faccia del Codice Deontologico dei giornalisti

Due pagine pubblicitarie pubblicate sul Corriere della Sera. In primo piano sempre lei, Rula Jebreal, la giornalista diventata testimonial di Carpisa...

Non solo svariati post, con foto e video al seguito, messi online sui profili social (Facebook, Twitter, Instagram) e sul sito dell’azienda. Ma pure due belle pagine pubblicitarie pubblicate oggi sul Corriere della Sera. In primo piano sempre lei, Rula Jebreal, la giornalista israeliana naturalizzata italiana esperta di politica estera diventata – abbiamo scoperto – la nuova testimonial di Carpisa, l’azienda di borse e accessori con più di 600 punti vendita in Italia e nel mondo. La Jebreal, che in Italia ha lavorato per QN, Messaggero, Rai e La7, nello spot viene presentata proprio come “giornalista”. Niente più e niente meno. Il che crea un problema di opportunità mica da ridere.

Rula JebrealAnche se, da quanto è stato possibile verificare consultando il sito dell’Ordine dei giornalisti, la Jebreal non risulta iscritta né all’elenco pubblicisti né a quello professionisti (mentre quello “speciale” dei cronisti stranieri non è pubblicato online), il problema resta sempre lo stesso: perché prestare la propria immagine per una campagna col rischio di varcare quel pericoloso confine deontologico che un giornalista non dovrebbe mai superare? Già perché regole alla mano in Italia i giornalisti, siano essi professionisti o pubblicisti, non possono in alcun modo fare pubblicità a marchi o aziende. Con rarissime eccezioni. Il perché è persino superfluo specificarlo. I precedenti non mancano ma questa non è certamente una giustificazione. L’articolo 10 comma 1 del “Testo unico dei doveri del giornalista”, infatti, parla molto chiaro. Non solo un giornalista “assicura ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta, sempre distinta dal messaggio pubblicitario attraverso chiare indicazioni” ma soprattutto “non presta il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie. Sono consentite, a titolo gratuito e previa comunicazione scritta all’Ordine di appartenenza, analoghe prestazioni per iniziative pubblicitarie volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali”. Ma, francamente, non pare questo il caso. Non solo.

Rula Jebreal

Sempre oggi, e sempre – scherzo del destino – sul Corriere, ecco comparire a pagina 3 un’intervista proprio alla Jebreal. Il tema? Gli scontri finiti in tragedia a Charlottesville (Virginia), dove tre giorni fa un’auto si è lanciata contro un corteo antirazzista formatosi per contrastare una protesta dei suprematisti bianchi provocando un morto e 30 feriti. Nel pezzo, la Jebreal viene presentata come “giornalista italiana di origine palestinese, che da ottobre insegnerà all’Università di Miami”. Poi, qualche pagina dopo, ecco spuntare di nuovo la sua faccia con al braccio una borsa di Carpisa. Certo, come detto i precedenti non mancano. Dalla famosa “camicia coi baffi” di Maurizio Costanzo fino al caso di Fabio Fazio. A gennaio il conduttore di Che tempo che fa aveva prestato il proprio volto per una campagna pubblicitaria della Tim, scatenando un vespaio di polemiche vista la sua iscrizione all’elenco dei pubblicisti. Più o meno quanto accadde alla coppia Gad LernerVittorio Feltri nel 2006, quando si chiedevano se i biscotti Krumiri fossero “di destra o di sinistra”. Domanda rimasta tutt’ora senza risposta.