Tutta colpa dei paletti europei. È ora di ridiscutere i trattati. Galloni: “Difficile rialzarsi senza investimenti. L’Esecutivo dovrà aumentare, non diminuire il deficit”

Intervista al professor Antonino Galloni, economista e presidente del Centro Studi Monetari

“Come era prevedibile, è arrivata una piccola recessione. Questo non riguarda solo l’Italia, ma anche altri Paesi. Tutto questo ci porta a pensare che la Manovra non sia assolutamente sufficiente: il Governo ora dovrebbe non diminuire ma aumentare il deficit”. Nessun dubbio per il professor Antonino Galloni, economista e presidente del Centro Studi Monetari: i dati di Bankitalia che ha rivisto le stime di crescita per il 2019 “erano assolutamente prevedibili”.

Dunque nessun complottismo?
“Direi proprio di no. Il problema, semmai, è un altro”.

Quale?
“Purtroppo noi abbiamo un deficit che ha effetti sul debito pubblico e un debito pubblico che è già al 131% del Pil. E questo influisce inevitabilmente sullo spread”.

E come si esce da questa situazione?
“Abbiamo due soluzioni”.

Cominciamo dalla prima.
“L’Italia deve rinegoziare il parametro di Maastricht del 60% del rapporto debito-Pil. È un parametro che non ha senso. In nessun manuale di macroeconomia si parla di questo tipo di rapporto. Si parla, semmai, del rapporto tra la spesa per interessi e il totale della spesa pubblica o la spesa per interessi e le tasse. Al limite quello che si potrebbe considerare per la stabilità è il rapporto tra debito complessivo di un Paese – dunque quello pubblico, delle imprese e delle famiglie – e Pil. Lì vedremo che l’Italia non corre alcuna crisi e anzi si trova in un’area protetta”.

La seconda soluzione, invece, quale sarebbe?
“La seconda strada è quella di introdurre una moneta non a debito. Non parliamo di banconote ma di biglietti di Stato, che non sono vietati dai trattati. Noi non abbiamo ceduto sovranità monetaria, quindi possiamo esercitarla. Vedremo se il Governo seguirà una o l’altra strada”.

Secondo lei è possibile?
“Diciamo che il problema tocca un cambio di prospettiva che in parte quest’esecutivo ha intrapreso. Sono decenni che noi guardiamo solo lo zero virgola e non guardiamo i macro-problemi della nostra economia, che richiederebbero maggiori investimenti pubblici”.

A tal proposito il ministro delle Politiche Ue, Paolo Savona, ha lanciato un piano per modificare la politica economica europea, a partire dalla Bce che dovrebbe, a detta del ministro, coinvolgere maggiormente i singoli Stati ed essere votata, appunto, più agli investimenti. Lei cosa ne pensa?
“L’idea di Savona va assolutamente nella giusta direzione, specie in relazione all’esigenza di politiche differenti per quanto riguarda gli investimenti. Per di più, non c’è dubbio che se la Bce comprasse i titoli degli Stati non solo sul mercato secondario ma anche sul mercato primario, è chiaro che gli osservatori considererebbero l’economia dei singoli Paesi in maniera molto più stabile. Resta, però, una difficoltà di fondo in questo programma”.

Cioè?
“Tutta la storia dell’Unione europea e soprattutto della Bce non è finalizzata alla convergenza e alla crescita economica e sociale dei vari Paesi, ma esattamente al contrario”.

In che senso, professore?
“La Bce si è posta come obiettivo l’aumento delle esportazioni, per cui inevitabilmente qualcuno poteva vincere e qualche altro poteva perdere. E siccome a vincere sono stati sempre gli stessi e a perdere sempre gli stessi, alla fine il forte è diventato troppo forte e il debole troppo debole. Con tutte le conseguenze che sappiamo”.

E dunque? Come si esce dall’impasse?
“Bisogna rivedere i parametri europei. E, dunque, i trattati che colpevolmente abbiamo firmato”.