Trump si fa trascinare in guerra da Netanyahu

Trump bombarda l’Iran al fianco di Israele, entra in guerra e allarga il conflitto che aveva promesso di fermare. Ora brucia il Medio Oriente

Trump si fa trascinare in guerra da Netanyahu

Donald Trump aveva promesso che con lui l’America non avrebbe più combattuto guerre inutili. “L’uomo della pace”, così si faceva chiamare: il negoziatore, il presidente che aveva disertato i conflitti altrui. Ma le immagini arrivate dalla Situation Room questa notte raccontano altro: Trump, cappellino rosso «Make America Great Again» in testa, osserva impassibile il monitor che trasmette in tempo reale i bombardamenti americani contro l’Iran. “Distrutti tre siti nucleari: Fordow, Natanz e Esfahan. Uno straordinario successo militare”, ha esultato poche ore dopo.

Mentre Trump si celebrava, Tel Aviv e Gerusalemme venivano colpite dai missili iraniani. Due edifici sventrati, decine di feriti, e la promessa dei Pasdaran: “Le basi americane in Medio Oriente saranno ridotte in cenere”. Gli Houthi dichiaravano finito il cessate il fuoco. La regione già martoriata dalla guerra a Gaza ora brucia su più fronti.

L’America si accoda. L’operazione è israeliana

I raid statunitensi arrivano a una settimana dall’operazione “Rising Lion”, lanciata da Israele: un’operazione militare su vasta scala che ha visto l’aviazione israeliana colpire obiettivi strategici sul suolo iraniano, tra cui strutture nucleari, centri radar e basi militari. Un attacco unilaterale, spacciato per difesa preventiva, che ha provocato centinaia di vittime e ha decapitato parte dell’apparato di sicurezza iraniano.

Con l’attacco statunitense del 22 giugno, Washington smette di fingersi spettatrice. Trump ha scelto di allinearsi apertamente alla strategia di escalation di Netanyahu, rivendicando la piena “coordinazione operativa” tra le forze americane e israeliane. E lo ha fatto senza passare dal Congresso, senza coinvolgere la diplomazia, con la consueta teatralità da reality: diretta social, cappellino da campagna elettorale, e foto ufficiali dalla Situation Room pubblicate come trofei.

Il bullo del Medio Oriente ha trovato compagnia

La diplomazia, già agonizzante, è stata completamente schiacciata. “Una grave violazione della Carta ONU”, denuncia Teheran. “Conseguenze eterne”, minacciano i suoi vertici. Ma a Washington l’aria è da vittoria. Il presidente israeliano Herzog applaude: “La campagna non è finita”. Il premier britannico Starmer giustifica: “Gli Usa hanno attenuato la minaccia nucleare”.

Trump ha lanciato i bombardieri B-2 dal Missouri. Ma ha fatto molto di più: ha trasformato un conflitto bilaterale in una guerra sistemica, in cui ogni alleato sarà trascinato, volente o nolente. I canali diplomatici si chiudono, mentre aerei e droni prendono il posto dei negoziati.

L’eredità indelebile dell’uomo “di pace”

Cinque presidenti americani hanno valutato se colpire l’Iran. Solo uno lo ha fatto: Donald Trump. Il pacificatore si è tolto la maschera. La sua firma ora è impressa su un’azione che rischia di incendiare un’intera regione. “Ora la scelta è dell’Iran”, ha detto dopo i bombardamenti, “e se sbaglieranno, continueremo ad attaccare”.

L’ONU è paralizzata, i civili pagano. E intanto, sulle piattaforme social, Trump raccoglie consensi e rilancia la sua campagna di consenso. Le bombe servono anche a quello. Perché, quando il potere scarseggia, la guerra torna sempre utile.

E se l’Iran non cede? Se gli Houthi, Hezbollah, le milizie irachene, risponderanno davvero? L’America sarà pronta a pagare il prezzo? O, come sempre, toccherà agli altri – ai civili senza nome, ai Paesi confinanti, alle città già sventrate – rimediare all’arroganza di chi gioca a fare Dio da uno schermo nella Situation Room?