Dalla Dc a Forza Italia. Quella con Cosa Nostra è una storia infinita. Sin dai suoi albori la criminalità organizzata siciliana ha mirato alle protezioni politiche a Roma

Si parla tanto di Silvio Berlusconi (leggi l’articolo) e dei suoi presunti rapporti con la Mafia, ancora tutti da dimostrare in sede penale, come se si trattasse di un inedito nella storia italiana. Ma la realtà è che da sempre, com’è ovvio che sia, Cosa nostra ha allungato la sua mano sullo Stato e sui suoi rappresentanti per trarne beneficio. Del resto la mafia in sé non ha alcuna ideologia politica ma mira, molto semplicemente, ai soldi e al potere che, a conti fatti, è la chiave di volta per ottenerli. Proprio per questo la mala siciliana, questa più di ogni altra, ha saputo mutare pelle e adattarsi al contesto politico di riferimento.

Così nel dopoguerra, con l’avvento dei governi centristi della Dc, Cosa nostra inizia la sua scalata al potere appoggiando il partito di maggioranza e ricorrendo alla violenza contro lo spauracchio comunista. Una mossa che assicura ai boss sia un canale privilegiato per accedere al denaro pubblico che gli strumenti per insidiarsi nelle amministrazioni locali. Eppure questo idillio si incrina agli albori degli anni ’80 quando al crescere delle richieste di incarichi di potere da parte degli esponenti dei clan, la politica non solo risponde picche ma inizia addirittura a combattere le infiltrazioni mafiose. A pagare per primo lo scotto di questo “sgarbo” è Michele Reina, l’allora segretario provinciale di Palermo della Dc, ucciso il 9 marzo del 1979 in un agguato mafioso. Nemmeno un anno dopo, per l’esattezza il 6 gennaio 1980, a cadere vittima di Cosa nostra è Piersanti Mattarella, all’epoca dei fatti presidente della Regione Sicilia, che della lotta alla mafia ne aveva fatto la sua missione. Proprio questi episodi di violenza, però, lasciano il segno.

NIENTE DI NUOVO. Ha così inizio la guerra tra Stato e mafia che sfocia nel maxiprocesso di Palermo del 1986, concluso in via definitiva nel 1992, che sembra cambiare le carte in tavola per sempre. Sfortunatamente non è la fine di Cosa nostra che, tutt’altro che eliminata, si lancia in una guerra senza quartiere a partire dall’uccisione di Salvo Lima, del 12 marzo 1992, a cui i boss rimproverano di non aver cancellato gli effetti del maxiprocesso. È l’inizio delle stragi di mafia del 92’ e del ’93 dei corleonesi, decisi a farla pagare allo Stato. Si tratta di un punto di svolta per capire i rapporti tra criminalità organizzata e politica perché proprio quando quest’ultima doveva serrare le fila, si apre ad una trattativa che è tutt’ora oggetto di indagini e processi.

Un terremoto che non risparmia l’ex premier Giulio Andreotti, finito sotto processo tra il ’93 e il 2004, per partecipazione ad associazione a delinquere semplice e mafiosa. Un processo che si concluse con i giudici che affermarono che Andreotti era stato, fino alla primavera del 1980, un colluso con Cosa nostra da cui, però, aveva preso le distanze a seguito del tragico epilogo della vicenda Mattarella. Tuttavia per i fatti fino al 1980 disposero il “non luogo a procedere” per intervenuta prescrizione mentre per quelli successivi l’assoluzione. Tra i casi più recenti c’è quello dell’ex senatore di FI, Marcello Dell’Utri, condannato a 12 anni per concorso esterno in una tranche del processo sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra.