Mentre a Gaza continua il massacro, il governo italiano si rifugia nel suo abituale balbettio, oscillando tra qualche dichiarazione di circostanza e l’inerzia complice. Mentre gli Stati Uniti bloccano le risoluzioni Onu, l’Italia si distingue in un altro modo: con il suo export militare. Il report di Archivio Disarmo lo documenta: droni, radar, jet, munizioni, componenti strategici. Pezzi che si incastrano nel meccanismo che ogni giorno abbatte civili palestinesi sotto le macerie.
Non è soltanto il passato a condannare. Anche nei primi mesi del 2025, mentre i morti a Gaza si contano a decine di migliaia, l’Italia continua a spedire armamenti a Israele: oltre 128mila euro solo tra gennaio e febbraio, di cui una parte neppure tracciata ufficialmente. Nel 2024, in piena offensiva israeliana, sono partiti da qui armamenti e tecnologie militari per quasi 6 milioni di euro, in gran parte sotto la comoda copertura delle clausole di “segretezza” previste dalla legge 185/1990.
Motori per droni, elicotteri leggeri, radar, sistemi di navigazione aerea e spaziale per oltre 34 milioni di euro. E poi computer e dispositivi informatici impiegati nelle piattaforme di targeting automatizzato come il sistema Lavender, che secondo le inchieste israeliane determina i bombardamenti con un margine di dieci civili uccisi per ogni combattente. Questa è la tecnologia italiana che finisce nella catena di sterminio.
Nel frattempo, mentre cresce nel mondo la richiesta di embargo sulle armi a Israele, mentre il sostegno dell’opinione pubblica italiana all’aggressione militare crolla di 50 punti percentuali, il governo Meloni continua a raccontare di non fornire armi che colpiscono civili. Una versione di comodo, alimentata dalla stessa opacità che oscura il Parlamento e l’opinione pubblica.
Oggi l’indignazione è timida, domani la storia sarà implacabile. Nessuna vittoria elettorale, nessuna giravolta propagandistica, nessuna ambiguità diplomatica potranno cancellare la complicità documentata. Rimarrà il sangue, rimarranno i numeri, rimarranno i nomi. E rimarrà la vergogna.