Il governo italiano starebbe valutando la possibilità di classificare il Ponte sullo Stretto di Messina, la cui costruzione è stimata attorno ai 13,5 miliardi di euro, come spesa per la Difesa. L’obiettivo: contribuire al raggiungimento della nuova soglia del 5% del Pil in investimenti militari richiesta dalla Nato entro il 2035. A riportare la notizia è il portale di informazione internazionale Politico, secondo cui l’idea sarebbe al vaglio di alcuni settori dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Al momento, l’Italia è tra i Paesi dell’Alleanza Atlantica con la spesa militare più bassa: nel 2023 ha destinato solo l’1,49% del Pil alle proprie forze armate. Una percentuale lontana non solo dal traguardo del 5%, ma anche dal precedente obiettivo del 2% più volte ribadito in ambito Nato. In questo contesto, il progetto del ponte potrebbe diventare uno strumento utile per contribuire al conteggio delle spese per la difesa.
Spesa per la Difesa al 5%, l’Italia vuole riclassificare il Ponte sullo Stretto per farlo rientrare negli obiettivi Nato
Secondo Politico, un funzionario del governo ha confermato che al momento non è stata ancora presa alcuna decisione formale in merito, ma ha anche anticipato che ulteriori colloqui sono previsti nel prossimo futuro per esplorarne la fattibilità. L’idea di riclassificare un’infrastruttura civile come investimento militare avrebbe, secondo la testata americana, anche un risvolto politico: potrebbe aiutare Meloni a “convincere un pubblico diffidente” sulla necessità di aumentare la spesa militare, in un momento di crescente pressione sui conti pubblici.
Un documento redatto dal governo italiano lo scorso aprile e citato da Politico sottolinea che, oltre alla sua funzione di collegamento tra Sicilia e Calabria, il Ponte sullo Stretto assumerebbe anche “un’importanza strategica per la sicurezza nazionale e internazionale”. L’infrastruttura, si legge nel documento, potrebbe facilitare lo spostamento delle forze armate italiane e degli alleati Nato, rivestendo così un ruolo chiave nella logistica militare in caso di emergenze o conflitti.
Resta ora da vedere se l’ipotesi troverà spazio all’interno del quadro normativo e contabile italiano ed europeo, e soprattutto se verrà accettata dagli organismi Nato come voce legittima della spesa militare. Una scelta che, se confermata, aprirebbe un dibattito non solo tecnico, ma profondamente politico sulla natura e sugli obiettivi delle grandi opere infrastrutturali.