Giorgia Meloni aveva promesso «più rimpatri» e un cambio di paradigma: fermare le partenze, velocizzare le espulsioni, “rimettere ordine” con Centri di permanenza più capienti e “funzionanti”. In campagna elettorale l’icona era il «blocco navale», formula-slogan mai diventata politica pubblica: impraticabile sul piano giuridico e logistico, lo hanno ripetuto giuristi e perfino membri dell’attuale maggioranza, a partire dal ministro Nordio.
A ogni Ferragosto, però, il Viminale canta vittoria. Quest’anno ha esibito il video dei «dati già buoni» e l’ennesimo impegno a «far entrare solo per vie regolari», rivendicando l’aumento delle espulsioni. Ma i numeri non reggono il tono trionfale: nel 2024 i rimpatri forzati sono stati 5.414 (erano 4.751 nel 2023) e nei primi sette mesi del 2025 sono a quota 3.463 (+12% sul 2024). La tendenza è in crescita, sì, ma resta sotto i livelli pre-pandemia: tra il 2017 e il 2019 la media mensile oscillava fra 533 e 544 casi e nel 2019 furono 6.531, oltre mille in più del 2024. Anche i rimpatri volontari assistiti: 290 in tutto il 2024, 382 già a luglio 2025, ma ben al di sotto dei picchi del 2017-2018. Lo documenta con chiarezza l’analisi di Pagella Politica, che smonta la narrazione del governo: «Nel complesso, i numeri restano inferiori al passato».
Rimpatri, promesse e realtà dei numeri
Il punto sta qui: la promessa era di “aumentare i rimpatri” come leva risolutiva. La realtà è un apparato che fatica: accordi bilaterali instabili, costi elevati, tempi lunghi, identificazioni difficili. La propaganda si affida all’enfasi del momento – conferenze stampa, dossier ferragostani, slogan sulla “tolleranza zero” – ma l’indicatore che conta resta inchiodato: rispetto agli anni in cui al Viminale sedevano Minniti, Salvini o Lamorgese, l’Italia di Meloni rimpatria meno. Lo confermano i dati ufficiali raccolti e messi in serie da Pagella Politica, che fanno piazza pulita delle iperboli agostane.
C’è poi l’altra faccia, quella che non finisce nei comunicati: mentre i rimpatri “per vie legali” arrancano, l’Italia continua a sostenere la cosiddetta Guardia costiera libica, che intercetta in mare e riporta indietro persone in fuga verso l’Europa. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ripete da anni che la Libia «non è un porto sicuro», e contabilizza settimana dopo settimana gli “intercettati e riportati a terra”. A fine luglio 2025 gli intercettati risultavano già oltre 14.100 dall’inizio dell’anno, con centinaia di morti e dispersi; il flusso continua anche in agosto, con aggiornamenti settimanali che registrano centinaia di persone riportate a Tripoli e Tobruk. Sono numeri che descrivono una delega strutturale del contenimento ai partner nordafricani.
Respingimenti delegati alla Libia
Il quadro giuridico è noto: la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso «Hirsi Jamaa c. Italia», ha stabilito che riportare persone in Libia viola il divieto di respingimenti collettivi e il principio di non-refoulement. Cambiano gli attori sullo schermo – più spesso pattugliatori libici invece di unità italiane – ma il risultato non cambia: si torna in un Paese dove l’IOM e le ONG documentano detenzioni arbitrarie, violenze, estorsioni.
Nel 2023 e nel 2024 l’Italia ha continuato a fornire mezzi e addestramento: gli stessi pattugliatori donati da Roma sono stati coinvolti in episodi di intimidazione ai danni dei soccorsi umanitari in acque internazionali. E a livello europeo, in tre anni Frontex ha trasmesso oltre duemila “posizioni” di barche dirette ai libici, alimentando un meccanismo di intercettazioni che scarica lontano dagli occhi il fallimento delle politiche di asilo.
Qui sta la contraddizione che conta: a casa si celebra l’aumento degli allontanamenti coatti, ma al largo si accetta – e si alimenta – un sistema di respingimenti che sposta il confine giuridico fuori campo, violando lo spirito delle sentenze e i principi base della protezione internazionale. Il governo aveva promesso ordine e legalità; la fotografia restituisce meno rimpatri di ieri e più “esternalizzazione” di oggi. La politica dei numeri funziona solo se sono veri, verificabili e coerenti con il diritto. Quelli raccontati nelle veline estive non lo sono; quelli raccolti da chi misura davvero, sì. E dicono che il governo Meloni, sui rimpatri, fa peggio di chi lo ha preceduto.