Salvini lancia una legge sull’Islam: così non si parla delle falle dei trasporti

La legge sull’Islam lanciata da Salvini non può esistere, ma serve per non parlare di cantieri fermi e sondaggi in calo.

Salvini lancia una legge sull’Islam: così non si parla delle falle dei trasporti

«Prima una legge sull’Islam, poi rivinceremo le elezioni». Matteo Salvini lo rilancia sui suoi social, come se fosse un programma di governo e non un segnale di emergenza elettorale. Quella frase non nasce ora: risale a Pontida, quando il leader della Lega aveva legato il trionfo delle urne alla costruzione di un nemico religioso. Ora ritorna, in piena crisi di consensi, come parola d’ordine per evitare di parlare di ciò che non funziona nei cantieri, nei treni, nei conti pubblici.

Islam, il vocabolario (variabile) di Salvini

Nel tempo, questa “legge sull’Islam” ha assunto forme variabili: chiusura delle moschee “irregolari”, censimento dei luoghi di culto, registro nazionale degli imam, divieto del velo integrale, blocco dei finanziamenti provenienti dall’estero. Salvini ha dichiarato che «l’Islam è una legge, non una religione», per tentare di spostare il dibattito fuori dalle tutele costituzionali.

Nessuna di queste misure è mai arrivata a essere un provvedimento organico. Le leggi regionali “anti-moschee”, soprattutto in Lombardia, sono state più volte travolte dalla Corte Costituzionale che ha ricordato che la pianificazione urbanistica non può essere usata come strumento per reprimere la libertà di culto.

La legge di Salvini che non può esistere

Il motivo è scritto nella Costituzione: l’articolo 3 vieta discriminazioni basate sulla religione; l’articolo 8 dichiara tutte le confessioni egualmente libere; l’articolo 19 garantisce il diritto di pregare in pubblico e in privato; l’articolo 20 vieta ogni legge che imponga oneri specifici a gruppi religiosi. Dalla sentenza n. 63 del 2016 alla n. 254 del 2019, la Consulta ha ribadito che non è possibile costruire barriere legali contro una singola fede.

La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che eventuali limiti a simboli religiosi, come il velo integrale, devono fondarsi su motivazioni proporzionate e non discriminatorie. L’unica strada percorribile dallo Stato è l’intesa prevista dall’articolo 8, come nel Patto nazionale con l’Islam del 2017, mai sviluppato a causa della scelta di mantenere il tema nello spazio della propaganda.

Non è una legge, è un diversivo. Non è un progetto normativo, è un confine emotivo disegnato per raccogliere consenso nei momenti di difficoltà.

Islam, il nemico perfetto per non parlare d’altro

La difficoltà è concreta. Nel 2023, il Ministero delle Infrastrutture guidato da Salvini ha speso solo il 3,3% dei fondi Pnrr disponibili. La Corte dei Conti ha chiesto chiarimenti sul progetto del Ponte sullo Stretto, segnalando falle procedurali e costi non giustificati.

I disservizi ferroviari del 2024 e 2025 hanno alimentato proteste diffuse: ritardi, linee bloccate, accuse di assenza di strategie. I fondi per le infrastrutture locali sono stati tagliati per concentrare risorse sulle grandi opere simboliche. Ogni volta che i numeri del ministero emergono, la battaglia identitaria viene riaperta. Non sull’efficienza, ma sull’appartenenza. Non sulla spesa, ma sulla paura.

Il meccanismo è chiaro e noto agli studiosi di comunicazione populista: spostare il baricentro dell’attenzione da un terreno tecnico verificabile a uno emotivo polarizzante. Una dinamica che ricade nella cosiddetta dead cat strategy: lanciare un tema esplosivo, irrilevante dal punto di vista legislativo ma capace di occupare il ciclo mediatico fino al prossimo incidente.

Le crepe dentro la Fortezza

Anche dentro la Lega qualcosa si muove. Dai territori del Nord arrivano segnali di malcontento: amministratori locali contestano la centralità del ponte mentre le strade provinciali restano abbandonate; iscritti parlano di perdita di identità e di disaffezione militante; i sondaggi mostrano un partito fermo sotto le due cifre, lontano dal 34% del 2019. L’egemonia comunicativa non sempre produce consenso, e la retorica anti-islamica rischia di risultare logora di fronte a chi misura il fallimento guardando il binario di un treno fermo.

La legge che non arriverà mai è già servita. È servita a proiettare un nemico quando il vero problema erano i numeri dei cantieri. È servita a rimettere Salvini al centro del dibattito quando il dossier sul trasporto regionale lo stava lasciando senza voce. È servita a spostare l’asse della discussione dal costo della vita ai “tribunali della sharia” evocati nei comizi.

Il leader della Lega non sta proponendo una legge: sta evocando un campo di battaglia che non richiede verifiche, solo applausi. E ogni volta che quel campo viene riaperto, la realtà delle infrastrutture ferme può attendere un altro giro.