Difesa, Crosetto in Commissione illustra il piano pluriennale. Tra riarmo e scudo spaziale, l’opposizione contro il ministro

Il ministro presenta il Dpp tra scudo spaziale, cyber e leva: M5S e Avs denunciano segretezza, costi e deriva verso il riarmo

Difesa, Crosetto in Commissione illustra il piano pluriennale. Tra riarmo e scudo spaziale, l’opposizione contro il ministro

Si spande, come sempre, un meraviglioso profumo di guerra. In Senato, davanti alle Commissioni Esteri e Difesa riunite, Guido Crosetto presenta il Documento di pianificazione pluriennale della Difesa per il triennio 2025-2027. Il linguaggio è quello delle grandi svolte: «profondo rinnovamento», «salto di qualità», la richiesta che il Parlamento approvi «in tempi rapidi» un ridisegno complessivo delle Forze armate. Il Dpp diventa la cornice tecnica di una scelta politica: consolidare la centralità militare nelle strategie del governo.

Il ministro rivendica il rifinanziamento del Fondo investimenti difesa con 1,5 miliardi l’anno e mette «al centro» le priorità legate al fianco sud della Nato, allo spazio, al capitolo cyber. Ricorda che per lo scudo spaziale-antimissile serviranno 4,4 miliardi l’anno, che i 500 milioni destinati alla sicurezza cibernetica e i 200 per lo spazio sono «troppo pochi» rispetto agli obiettivi dell’Alleanza. Insiste sulla necessità di superare la «frammentazione» dell’industria europea della difesa per non restare, sul piano tecnologico, «il vaso di coccio» tra Stati Uniti e Cina.

Nel passaggio sulla leva, Crosetto parla di «dibattito innescato», definisce la leva stessa un «bacino formato» utile anche in caso di calamità naturali e indica come obiettivo «aumentare qualità e quantità» del personale militare, rendendo la Difesa più attrattiva per i giovani. È la fotografia di un sistema che non si limita a pianificare armamenti ma ridisegna il proprio peso nella società.

Opposizioni in trincea tra riarmo, segretezza e democrazia

Le opposizioni usano la stessa audizione per rovesciare lo sguardo. Il Movimento 5 Stelle parla apertamente di «problema di democrazia e trasparenza». I capigruppo nelle Commissioni Difesa, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, contestano la «segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato», cioè gli obiettivi operativi su cui si fondano gli impegni di spesa. Per il M5S non è accettabile che la corsa al riarmo si basi su richieste definite “cifre folli” senza che il Parlamento conosca nel dettaglio le esigenze che le motivano.

I pentastellati attaccano anche il mega-programma GCAP/Tempest, il caccia di sesta generazione italo-anglo-giapponese, destinato a diventare «il programma più costoso, surclassando l’F-35»: oltre 10 miliardi di euro solo per la fase di ricerca e sviluppo. Chiedono se ci saranno fondi europei, se l’eventuale ingresso della Germania ridurrebbe la quota italiana, se per i droni gregari del GCAP – su cui lavora la joint venture Leonardo-Baykar – siano allo studio soluzioni «made in Usa» dopo le pressioni di Washington. Da Crosetto, raccontano, «nessuna risposta».

Ancora più netta è la lettura di Alleanza Verdi e Sinistra. Il capogruppo al Senato Peppe De Cristofaro parla di «avventura del riarmo» e di «militarizzazione della società italiana». Ricorda che, secondo i calcoli dell’Osservatorio Milex, i programmi di investimento per i prossimi quindici anni valgono 130 miliardi in nuovi sistemi d’arma, più 9 miliardi per le infrastrutture militari, di cui 35 già stanziati con le precedenti leggi di Bilancio. Per Avs l’audizione certifica una “politica di riarmo strutturale”, con risorse pubbliche impegnate per decenni e un Parlamento relegato a passacarte.

De Cristofaro mette in fila i punti più controversi: la «leva volontaria» evocata dal ministro come strumento per aumentare i reclutamenti, la disponibilità del governo ad accedere a prestiti europei per rispondere alle richieste della Nato quando l’Italia uscirà dalla procedura per deficit eccessivo, il rischio che in uno scenario di «guerra mondiale a pezzi» queste scelte «aumentino e non diminuiscano» l’insicurezza. E richiama esplicitamente l’articolo 11 della Costituzione, il ripudio della guerra che dovrebbe guidare anche le politiche di difesa.

Sul fondo resta il nodo politico che nessun tecnicismo del Dpp cancella. Il governo rivendica una Difesa «più moderna», agganciata alla competizione industriale e tecnologica globale; le opposizioni vedono in quelle stesse scelte un salto di qualità nel militarismo italiano, una spesa destinata a crescere proprio mentre la manovra taglia su altri fronti. Nella sala del Senato, dietro le cifre e gli acronimi, si misura la distanza tra chi affida la sicurezza all’espansione dell’apparato militare e chi teme che, ancora una volta, la democrazia arrivi quando i giochi di bilancio sono già chiusi.