A Sanremo il monologo sulle madri mentre le aziende le licenziano

A Sanremo si celebrano le madri, nelle aziende si licenziano: l’Italia chiede più figli, ma punisce chi li fa. La storia di Sofia lo dimostra

A Sanremo il monologo sulle madri mentre le aziende le licenziano

Sofia ha perso il lavoro due volte in tre anni. Non perché non fosse competente, non perché non servisse più alla sua azienda, ma perché ha avuto due figli. Un’eresia nel Paese che piange la denatalità e che chiede alle donne di “fare più figli”, ma senza mai fornire le condizioni affinché questo avvenga. La sua storia, raccontata su Collettiva , è la sintesi perfetta di questa contraddizione: Sofia, tecnico di laboratorio nel veronese, è stata licenziata mentre era in maternità. La prima volta dopo la nascita del primogenito, la seconda quando ha avuto il secondo figlio. Due aziende diverse, stesso trattamento. Il paradosso è che il suo contratto, un’apparente garanzia di stabilità, era un contratto di somministrazione, una delle tante varianti del precariato camuffato da sicurezza.

Nel 2020, dopo due anni di contratti a termine, l’azienda avrebbe dovuto assumerla, ma ha preferito proseguire il rapporto attraverso un’agenzia interinale, con la promessa – mai mantenuta – di stabilità. Il risultato? Appena è diventata madre, è stata messa alla porta. La sua non è una storia isolata. Anzi, è la regola. L’Istat ci dice che in Italia il 60,1% delle madri lavora, ma quante di loro possono contare su un impiego sicuro e ben pagato? Poche. La precarietà, il gender pay gap, l’assenza di un welfare adeguato sono un deterrente potente contro la scelta di avere figli. Il Ministero della Salute lo ha certificato: si diventa madri solo quando si ha un impiego, possibilmente stabile . Eppure, il governo Meloni insiste con la sua retorica sulla natalità, come se la maternità fosse una questione di “coraggio” e non di condizioni materiali.

Il ricatto della precarietà

La storia di Sofia svela la farsa della “stabilità promessa”. In teoria, la sua posizione era meno precaria rispetto ad altre forme di lavoro atipico. In pratica, è stata lasciata senza stipendio nel momento più delicato della sua vita. La legge vieta il licenziamento di una lavoratrice in maternità, ma c’è sempre un cavillo per aggirare la norma: basta aspettare la scadenza di un contratto a termine o, come nel suo caso, sfruttare le pieghe di un rapporto di somministrazione.

Quando è rimasta incinta del secondo figlio, la storia si è ripetuta: contratti rinnovati di mese in mese, fino a quando non è stato chiaro che un’altra gravidanza era in arrivo. L’azienda non l’ha assunta e l’agenzia interinale ha aperto la procedura per il licenziamento. “Ti fanno credere che se hai un contratto di somministrazione dopo due anni ti assumono, che hai una prospettiva di stabilità, ma non è così”, racconta Sofia.

Meloni e la maternità come propaganda

Giorgia Meloni ripete in ogni occasione che la denatalità è un problema economico e sociale. Peccato che il suo governo continui a smantellare gli strumenti per permettere alle persone di avere figli. Non bastano i bonus una tantum, servono salari dignitosi, servizi per l’infanzia accessibili, protezione per le madri lavoratrici.

I dati lo dimostrano. L’età media in cui si diventa madri è sempre più alta perché prima di mettere al mondo un figlio bisogna essere certe di poterselo permettere . Ma nel frattempo il governo ha tagliato i fondi per gli asili nido al Sud, rendendo ancora più difficile conciliare maternità e lavoro. La stabilità economica delle famiglie è un prerequisito per invertire la curva demografica, ma la destra continua a trattare la questione come un problema di “mentalità”, ignorando il costo reale di mettere al mondo un bambino in Italia. Sofia non troverà lavoro perché le mamme sono state celebrate a Sanremo. Sofia ha bisogno di politica, non di celebrazioni.