Armi vietate ai sauditi. Ma i vertici della Difesa non se ne sono accorti e discutono di cooperazione con l’Arabia

Neanche una settimana fa una battaglia politica e civile che andava avanti da oltre 3 anni, è giunta a un risultato a tratti storico: il Parlamento ha approvato la mozione per chiedere al Governo di sospendere le esportazioni di “bombe e missili” verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, “finché non ci saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen”. Un passo importante, come dichiarato da diversi esponenti della maggioranza. Eppure la risoluzione approvata, presentata da M5S e Lega, potrebbe rivelarsi, per certi versi, alquanto lacunosa. “Menzionando solo ‘bombe e missili’ – evidenzia Piergiulio Biatta, presidente dell’Osservatorio sulle armi Opal – i partiti al Governo fanno chiaramente capire che non intendono mettere in discussione le forniture belliche di Leonardo e Fincantieri e nemmeno le esportazioni di armi leggere ai sauditi”.

Ben diverso sarebbe stato se fosse stata approvata la mozione presentata da Pd e Leu che, invece, avrebbe impegnato il Governo a bloccare le esportazioni di qualsiasi tipo di arma o sistema militare verso l’Arabia. Che sia più di un semplice dubbio, lo rivela un summit avvenuto proprio il giorno prima del via libera alla mozione. Il 25 giugno, infatti, il capo della Royal Saudi Air Force, il generale Turki bin Bandar bin Abdul Aziz Al Saud ha incontrato in visita ufficiale il generale italiano Alberto Rosso. Una riunione, informava la Difesa quel giorno, “per approfondire cooperazione tra forze aeree dei due Paesi, principalmente connessa a formazione e addestramento al volo del personale saudita”.

Solo una coincidenza l’incontro tra i massimi vertici dell’Aeronautica militare italiana e saudita? E proprio nei giorni della discussione parlamentare sullo Yemen? La Royal Saudi Air Force è infatti il corpo militare che, come hanno rivelato nel tempo diversi rapporti dell’Onu, ha usato le bombe italiane sulla popolazione civile yemenita, rendendosi responsabile di quelli che le stesse Nazioni Unite hanno definito “crimini di guerra”. Un cortocircuito che solleva domande poiché, come osserva ancora Biatta, “indica l’intenzione del Governo italiano di rassicurare la monarchia assoluta saudita riguardo alla continuazione della cooperazione militare e delle forniture di armamenti”.

LE “ALTRE” COMMESSE. Il rischio – rivelano alcune fonti parlamentari – è che al ministero ci sia poca volontà a dar corso alla mozione parlamentare. Dalla Difesa, però, ci tengono a precisare che il summit era stato organizzato da tempo e che nulla c’entra con i lavori parlamentari e, dunque, con la risoluzione. Dichiarazioni che dividono ovviamente, e che lasciano legittimi dubbi sulle tempistiche e, soprattutto, sul rispetto del Parlamento. Quel che certo è che l’ultima parola ora tocca al Governo. Con un problema ulteriore ancora più concreto. Poiché la mozione prevede uno stop solo a “bombe e missili”, non sono sospese tutte le altre commesse.

“L’anno scorso, per la prima volta dal 1990 – sottolinea non a caso Giorgio Beretta, analista dell’Opal – il Governo Conte ha autorizzato all’azienda Beretta l’esportazione di ‘armi leggere’ di una certa consistenza alla monarchia saudita. Si tratta, con ogni probabilità di un ampio arsenale di armi per un valore complessivo di quasi 3 milioni di euro”. Armi che, continua Beretta, “oltre che nel conflitto in Yemen, possono essere utilizzate a scopi di repressione interna”. Scenari non proprio confortanti, che potrebbero avverarsi nonostante il voto “storico” in Parlamento.