Carceri che esplodono, le opposizioni contro Nordio: sovraffollamento, suicidi e promesse mancate nel mirino

Carceri, le opposizioni chiedono un’informativa urgente a Nordio: suicidi, sovraffollamento e promesse tradite nel mirino

Carceri che esplodono, le opposizioni contro Nordio: sovraffollamento, suicidi e promesse mancate nel mirino

Lo scontro, l’ennesimo, con il governo si consuma sulle carceri e questa volta il guardasigilli Carlo Nordio è chiamato almeno a metterci la faccia. Le opposizioni depositano una nuova richiesta di informativa urgente al ministro della Giustizia e il senso non è la forma parlamentare: è la fotografia di una crisi che non trova più un responsabile politico disposto ad assumersela. I numeri si impongono: settantadue suicidi, sovraffollamento al 137%, oltre 63.000 detenuti stipati in meno di 47.000 posti reali. È il quadro di un sistema penitenziario che ha oltrepassato la soglia di sicurezza e si avvicina all’orizzonte delle vecchie condanne europee.

Le promesse mancate e la realtà che esplode

Il nodo non è solo ciò che accade nelle carceri, ma ciò che non accade nel governo. Nordio aveva promesso un’inversione di rotta: un carcere meno punitivo, più misure alternative, meno reati simbolici. Oggi il bilancio è l’opposto. Le riforme attese si sono fermate, il piano edilizio avanza tra ritardi e procedure da rifare e la task force sulle pene brevi è rimasta imprigionata nella burocrazia e nell’assenza di soluzioni abitative.

Nel frattempo, i nuovi decreti sulla sicurezza hanno ampliato l’area del penale, riversando negli istituti altre migliaia di ingressi. La distanza tra la retorica garantista e le scelte di governo è diventata il cuore della crisi. Le opposizioni lo dicono apertamente: il ministro non ha più la forza di fronteggiare un’emergenza che lo ha superato. Paolo Ciani (PD) parla di una situazione «non più procrastinabile» e ricorda che «i numeri non sono compatibili con uno Stato di diritto». Roberto Giachetti (Italia Viva) sottolinea che è «la decima volta in un mese» che si chiede un’informativa e chiede alla Presidenza se debba diventare «una sterile richiesta destinata a finire qui».

Devis Dori (AVS) affonda: «Forse stiamo sbagliando ministro. Noi le proposte le abbiamo, ma forse non vuole ascoltarle». Riccardo Magi (+Europa) definisce «inaccettabile» che un tema così delicato «venga trattato con tanta leggerezza». Enrica Alifano (M5S) chiede «risposte concrete per gli ultimi degli ultimi». Federica Onori (Azione) denuncia «l’indecorosa assenza del ministro davanti a un’emergenza nazionale».

E i garanti segnalano incendi nei minorili, sezioni inagibili, tassi di autolesionismo in crescita, colloqui ridotti al minimo e condizioni che definire precarie è un eufemismo.

Una maggioranza che non sa più cosa raccontare

Dentro il centrodestra la frattura è evidente. Fratelli d’Italia mantiene la linea securitaria, sostenuta dal sottosegretario Delmastro, che considera il sovraffollamento un prezzo inevitabile. La Lega presidia il terreno dell’ordine pubblico e blocca ogni ipotesi di clemenza.

Forza Italia, sempre più isolata, tenta di difendere un residuo profilo garantista, apre alla liberazione anticipata speciale e guarda con favore al numero chiuso, ma ogni volta viene riportata all’ordine. Ignazio La Russa, unico con un ruolo istituzionale forte, ha parlato di un decreto entro Natale per alleggerire la pressione: un segnale che racconta più di molte dichiarazioni ufficiali.

È questo il contesto che le opposizioni hanno riportato in Parlamento: un sistema al limite e una maggioranza che non trova una storia unica da raccontare sulla pena, oscillando tra la difesa dell’indurimento e la consapevolezza crescente che l’emergenza non è più governabile.

Il punto politico del 3 dicembre

Non servono scontri in Aula per capire che il governo ha esaurito gli strumenti per fronteggiare la crisi. Le opposizioni non chiedono più spiegazioni: chiedono responsabilità. Se settantadue suicidi non bastano a cambiare passo, allora il problema non è tecnico ma politico.

Il 3 dicembre segna esattamente questo: il momento in cui la distanza tra la retorica del governo e la realtà delle celle diventa impossibile da coprire. Se l’esecutivo continuerà a rinviare, l’intervento arriverà altrove: dai garanti, dalla giurisdizione europea o, più semplicemente, dalla cronaca. E la cronaca, quando supera la soglia della tragedia sistemica, non aspetta certo i tempi della politica.