Nel terzo trimestre 2025, nel Lazio, la cassa integrazione (Cig) autorizzata dall’INPS è quadruplicata: 16,2 milioni di ore contro i poco più di quattro milioni dello stesso periodo del 2024. È il tipo di notizia che smentisce la retorica governativa sulla “crescita solida” e sui “record occupazionali”. Se si estende lo sguardo oltre Roma, il quadro diventa ancora più nitido: la Cig non è una parentesi locale, è un fenomeno nazionale che racconta una crisi industriale al di là della propaganda.
Il ritorno delle ore perse
Tra gennaio e settembre 2025, le ore complessive di cassa integrazione e fondi di solidarietà superano i 430 milioni, con un incremento vicino al 19% rispetto allo stesso periodo del 2024. È un volume che va oltre il livello del 2019, l’ultimo anno pre-pandemia. Significa più produzione ferma, più reddito bruciato, più lavoratori sospesi: le elaborazioni dei centri studi stimano l’equivalente di oltre 275mila persone a zero ore nei primi nove mesi e una perdita media di 4.400 euro netti per ciascun beneficiario.
A contare non è solo la quantità, ma la qualità. La cassa ordinaria arretra, mentre la cassa straordinaria, lo strumento che fotografa ristrutturazioni profonde, crisi aziendali e delocalizzazioni, cresce in modo verticale: nel terzo trimestre 2025 le ore di Cigs superano quota 60 milioni, più del doppio rispetto all’anno precedente. È la prova di un sistema produttivo che attraversa un rallentamento che rischia di diventare strutturale, spesso accompagnato da riorganizzazioni silenziose che scaricano il costo sui lavoratori.
In questo scenario i numeri sulle retribuzioni chiudono il cerchio. Le ore in cassa significano stipendi tagliati, contributi ridotti, tredicesime più leggere. Per chi vive di salari bassi, alcune centinaia di euro in meno ogni mese diventano il confine tra una vita precaria e il ricorso al credito facile, agli aiuti familiari, alla rinuncia alle spese essenziali.
Le regioni che smentiscono la propaganda
Il Lazio è solo l’esempio più immediato. L’80% delle ore riguarda telecomunicazioni e automotive, due settori che nelle narrazioni istituzionali dovrebbero essere ripartenza, innovazione, investimento. In realtà i numeri sono la radiografia di esuberi mascherati, carichi di lavoro ridotti e catene produttive instabili. L’Emilia Romagna registra nei primi nove mesi dell’anno un aumento dell’11% della Cig complessiva e del 37% della straordinaria. In Lombardia si superano decine di milioni di ore, con l’impennata della Cigs come indicatore principale. Nel Mezzogiorno la situazione è ancora più evidente: Sardegna, Basilicata e Molise segnano incrementi oltre l’85%.
Il tratto comune è sempre lo stesso: meccanica, metallurgia, telecomunicazioni, trasporti e automotive sono i comparti che consumano più ore di integrazione salariale. Sono gli stessi settori che, secondo la narrazione del governo, dovrebbero essere la frontiera della competitività italiana. Dietro le celebrazioni sui “posti stabili” restano le linee produttive ferme, i turni ridotti, le riunioni sindacali convocate per spiegare a operai e impiegati quanto durerà ancora il ricorso alla cassa e quali prospettive reali esistono sul territorio.
Il cortocircuito politico è tutto qui. L’esecutivo continua a rivendicare il numero assoluto degli occupati, trainato dagli over cinquanta che restano a lungo sul mercato del lavoro. Nei discorsi ufficiali però non entra mai la variabile delle ore perse. L’indicatore che descrive meglio la salute dell’economia italiana resta la somma delle giornate in cui la produzione si ferma e le famiglie vedono assottigliarsi le buste paga, non il saldo dei contratti.
I 430 milioni di ore di cassa integrazione in nove mesi sono l’immagine più fedele dello stato dell’economia italiana. Il resto è propaganda.