Cda Milan, contestato Silvio. Piccoli azionisti scatenati: via il presidente e Galliani. Niente campioni e debiti per 89 milioni di euro

Al Milan l’era Berlusconi volge al tramonto. Il presidentissimo non gode più della stima degli azionisti. Tra i piccoli, soprattutto, ha perso l’appeal. Anche nei momenti più difficili la fiducia nel Cav non è mai venuta meno. Il presidente comprava un paio di top player e la situazione si risolveva. Ma quest’anno sul banco degli imputati la società c’è finita proprio perché non ci sono più i campioni. In pratica è una squadra da 6-7° posto. Un asset che ha perso molto del suo valore. Durante il cda di ieri nel mirino della contestazione ci sono finiti i vertici. Sia Berlusconi sia l’ad Galliani. I piccoli azionisti hanno chiesto senza mezze misure di andarsene dal club. “Da cinque anni siamo la barzelletta del calcio internazionale e non facciamo nemmeno più ridere” – hanno gridato gli azionisti – “La colpa non è degli allenatori (in 25 mesi ne sono stati cambiati cinque, ndr)”.

I NODI AL PETTINE – Che fine ha fatto la questione stadio di proprietà al Portello? Perché il numero dei tesserati è di 172 (64 calciatori e 108 tecnici), contro i 99 (51+48) della Juventus e i 53 (27+26) del Napoli? Il costo azienda dei tesserati è di 865.000 euro circa. Come si giustifica? La conclusione è che il Milan è tecnicamente fallito. Il passivo è metà del fatturato. Il rosso in bilancio ammonta a 89,3 milioni. Nonostante le assicurazioni di Galliani, i piccoli azionisti hanno votato contro l’approvazione del bilancio 2015. Battaglia anche sulla nomina del cda. Per la prima volta in 30 anni è stata spuntata una lista alternativa composta da ex calciatori. Alla fine la squadra di Fininvest ce l’ha fatta: Barbara Berlusconi, Paolo Berlusconi, Leonardo Brivio, Pasquale Cannatelli, Giancarlo Foscale, Leandro Cantamessa e Galliani vice presidente vicario.

VAFFANCINA – Se gli azionisti chiedono le dimissioni di Galliani e l’uscita di scena del Cav (per lui ruolo da presidente onorario), i tifosi vedono di buon occhio l’ingresso di gruppi solidi e ricchi. I cinesi non più visti come invasori, bensì come salvatori della baracca.