Da Silvio a Matteo, ormai è gara a chi ha più indagati. Imbarcano la qualunque e poi piovono scandali e processi. Dalla tangentopoli lombarda all’inchiesta sui fiscalisti della Lega

Da Silvio a Matteo, ormai è gara a chi ha più indagati. Imbarcano la qualunque e poi piovono scandali e processi. Dalla tangentopoli lombarda all’inchiesta sui fiscalisti della Lega

Se il governo in queste ore, con l’affaire Udc che è piombato come un fulmine a ciel sereno nel mezzo di trattative già non semplicissime, è oggettivamente in affanno nella ricerca di responsabili per allargare la maggioranza, pure il centrodestra ha le sue grane. Proprio per quei “volenterosi” che dalle fila della loro coalizione potrebbero presto migrare nello schieramento avversario. Insomma se Atene piange, Sparta non ride e l’osservato speciale è il partito di Silvio Berlusconi, da cui già fra lunedì e martedì in occasione della fiducia a Conte sono arrivate sorprese.

Se da Forza Italia non si fossero smarcati tre parlamentari “pesanti” (la ex pasionaria di destra Renata Polverini alla Camera, e soprattutto Maria Rosaria Rossi e Andrea Causin al Senato, dove i numeri sono stati ballerini fino all’ultimo minuto) le difficoltà del premier sarebbero state molto maggiori, visto che il previsto esodo da Italia Viva per ora non c’è stato. Non a caso lo stesso Partito democratico puntava molto sulla costituzione di un gruppo “centrista”- da qui il forte pressing su Lorenzo Cesa per il simbolo dell’ Udc – non solo per i suoi tre senatori ma anche in previsione del fatto che avrebbe potuto attrarre “una decina o forse quindici” transfughi di Forza Italia “che ancora non hanno avuto il coraggio di esporsi” come dichiarato dallo stesso Causin.

In ogni caso ieri pomeriggio il centrodestra è salito al Colle nella sua formazione Lega- FdI- FI, senza i “piccoli”, un segnale di crepe anche all’interno delle opposizioni, dunque, non così compatte sulla richiesta di andare al voto. Anche perché nella nota congiunta diffusa dal centrodestra dopo l’incontro al Colle non c’è espressamente la parola voto: “Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani hanno manifestato al presidente della Repubblica, a nome dell’intero centrodestra, la grande preoccupazione per la condizione dell’Italia: mentre emergenza sanitaria ed economica si abbattono su famiglie e imprese, il voto di martedì ha certificato l’inconsistenza della maggioranza.

È convinzione del centrodestra che con questo Parlamento sia impossibile lavorare. Il centrodestra ha ribadito al Presidente la fiducia nella sua saggezza”, si legge nel comunicato. Nessun accenno all’alternativa al governo Conte messa sul piatto: per una Meloni che spinge senza se e senza ma per le urne subito, più sfumata è la posizione all’interno del Carroccio dove il leader Salvini non ha mai avuto un atteggiamento di totale chiusura nei confronti di un esecutivo di large intese, idea che come piace molto al suo vice Giancarlo Giorgetti.

In ogni caso davanti a Mattarella, viene riferito, l’ipotesi di un ritorno alle urne sarebbe stata sostenuta da tutti e tre i leader dell’opposizione. Ma Cambiamo, l’Udc e Noi con l’Italia – che come detto erano assenti all’incontro – su questo punto sono in disaccordo. Giovanni Toti ritiene che sia “molto difficile andare a votare” ed è più orientato, qualora Conte non riuscisse a trovare i numeri necessari “verso altri tipi di governo a cui il centrodestra dovrebbe dare un proprio contributo”.

E poi ovviamente c’è la “polveriera” azzurra pronta a esplodere: fra i forzisti alle faide interne tra moderati e filo-leghisti si è aggiunto il miraggio di una legge proporzionale e l’ipotesi di una lista Conte: Berlusconi continua a rassicurare gli alleati sulla compattezza del suo movimento, ma le ultime defezioni pesano, e ppi del Cav si conoscono bene le capacità di giocare su più tavoli. Si è poi aggiunta la grana Udc: con Lorenzo Cesa indagato e costretto alle dimissioni da segretario, gli alleati si chiedono se i suoi ora reggeranno. Uniti, dunque, ma sempre con una diffidenza reciproca mai veramente sopita.