Dal salario minimo alle Autonomie, passando per la flat tax e le riforme costituzionali. Ecco cosa salterà se cadono i gialloverdi

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è stato molto chiaro: se Luigi Di Maio e Matteo Salvini non dovessero trovare un accordo, arriveranno le dimissioni. “Voglio una risposta chiara e rapida”, ha detto il premier chiamando entrambi i suoi vice alle loro responsabilità. Responsabilità che, inevitabilmente, toccano tutto il Paese. Perché accanto a ciò che è già stato fatto, ci sono tanti provvedimenti in bilico che attendono di percorrere l’ultimo chilometro prima dell’approvazione definitiva e, dunque, prima di diventare esecutivi. Dal salario minimo alle Autonomie passando per la flat tax e le riforme costituzionali, l’elenco è lungo. Andiamo a vederlo nel dettaglio.

Salario minimo. Ddl fermo al Senato. Il testo presentato da Nunzia Catalfo prevede una soglia minima per tutti i lavoratori: 9 euro lordi all’ora. La proposta, però, è ferma: mentre la commissione Lavoro al Senato (che sta esaminando i ddl di maggioranza e opposizione) non si riunirà in questi giorni, la omonima commissione alla Camera avvierà (probabilmente dalla prossima settimana) un ciclo di audizioni sul punto, in relazione ad alcune risoluzioni sul tavolo. Intanto, mercoledì si riuniranno sindacati e ministero del Lavoro per affrontare il dossier.

Flat tax in bilico. E la Lega traballa. Salvini contro Conte, Conte contro Salvini. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la partita sulla flat tax. In attesa che, come annunciato da più fronti, ci sia un prossimo Consiglio dei ministri in cui la bozza della norma venga presentata, le uniche cose concrete sono le continue avvisaglie lanciate da ambo le parti. Ieri mattina Salvini ha detto chiaramente che la flat tax “o si fa e si vive, o non si fa e si muore”. Nel pomeriggio a rispondere è stato proprio il premier. Il quale ha riconosciuto come la flat tax sia “un tassello importante del contratto” di Governo, “ma si tratta di una riformulazione delle aliquote che deve inserirsi in un percorso riformatore più complessivo”, relativo ad “una giustizia tributaria più efficiente” ed a “strumenti di contrasto all’evasione”. Insomma, sì alla flat tax ma se ragionata. E se, ovviamente, il Governo resta in piedi.

Autonomie decisive. Ma l’intesa è lontana. Il discorso è simile a quello della flat tax: parliamo, infatti, di un altro provvedimento su cui si gioca la credibilità della Lega. Basta questo per capire il motivo per cui, al di là di mille parole, a Salvini per primo non conviene “staccare la spina” e andare al voto senza avere in tasca né la norma bandiera in chiave fiscale né quella federalista che tanto piace alla Lega 1.0. Ed è questo il motivo per cui Salvini ha annunciato che il testo, predisposto dal ministro Erika Stefani, sarebbe pronto. Non si andrà oltre il 21 giugno per la presentazione in Consiglio dei ministri, ha detto il vicepremier. Ovviamente i tempi potrebbero essere diversi perché il Movimento attende di vedere quale sia, concretamente, la proposta della Lega. Ma non ha mai chiuso alla trattativa essendo una misura contenuta nel contratto.

Taglio al Parlamento. Siamo a metà strada. La proposta è di quelle importanti: permetterebbe di tagliare di netto il numero dei parlamentari, che passerebbero dagli attuali 945 a 600. La proposta, come si ricorderà, nasce da un testo di riforma costituzionale che, sebbene sia stato fortemente voluto dai Cinque stelle, è stato presentato dai capigruppo del Movimento e del Carroccio. Ad oggi il testo è stato approvato in prima lettura sia alla Camera che al Senato. Ora il testo, poiché di rango costituzionale, dovrà tornare nuovamente al Senato e poi nuovamente alla Camera. La seconda lettura può solo approvare, a maggioranza assoluta, o bocciare il testo senza possibilità di modifiche. Per evitare la possibile richiesta di referendum, serviranno i due terzi di Camera e Senato.

Cnel in piedi. Altro flop? Siamo alle solite. Esattamente come col referendum costituzionale promosso dall’allora Governo Renzi, ancora una volta il Cnel potrebbe “resistere” alla volontà politica di abolirlo qualora la maggioranza dovesse decidere di non proseguire l’esperienza di Governo gialloverde. La riforma costituzionale è stata presentata e assegnata alla commissione Affari costituzionali del Senato. Ma siamo solo all’inizio perché, così come per il taglio dei parlamentari, anche in questo caso sono necessarie due letture sia alla Camera che al Senato. Però, a differenza di plausibili resistenze sulle altre proposte costituzionali, sull’abolizione del Cnel nessuno farebbe opposizione essendo un’idea già presentata in passato sia al Pd che da FI.

Processo penale. Così salta tutto. L’accordo era chiaro sin dall’inizio: il ddl Anticorruzione, fortemente voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, avrebbe avuto pieno senso soprattutto con una riforma strutturale del processo penale. E questo per la norma, voluta dal Movimento, relativa all’abolizione della prescrizione in caso di condanna di primo grado. Dopo una lunga querelle con la Lega si è giunti a un accordo: ok all’abolizione della prescrizione a patto che nel 2020 si giunga alla riforma penale. Di conseguenza, se questa dovesse saltare per fine anticipata di legislatura, verrebbe meno anche l’abolizione della prescrizione stessa.

Rivoluzione sanità. Con il dl Calabria. Ultimo tassello è il decreto Calabria, in questi giorni in esame in Parlamento per la conversione in legge. Al suo interno una norma fondamentale in campo sanitario: i dirigenti delle Asl non saranno più nominati dalla politica.