Dopo il Covid siamo ostaggio delle risse tra governatori. Un report frena il liberi tutti. Nelle prossime ore vertice decisivo a Palazzo Chigi

Sono ore cruciali queste per i rapporti fra il governo centrale e le regioni. Gli scontri e le differenze di vedute sulle strategie di contenimento della pandemia in questi mesi non sono mancati ma adesso, fra la diatriba sull’election day e le polemiche sulle riaperture tra regioni dopo il 3 giugno, siamo davvero arrivati al tutti contro tutti. La prima avvisaglia di terremoto si è avuta due giorni fa sulla possibile data delle prossime elezioni regionali, finita con una litigata molto accesa fra la titolare del Viminale Lamorgese e il governatore della Campania De Luca che, insieme a Zaia, Toti ed Emiliano avrebbe voluto anticipare il giorno delle consultazioni fissato per il 20 settembre, specie dopo un accordo faticosamente trovato in conferenza delle regioni con il ministro Boccia sulla data del 13 settembre che aveva messo d’accordo tutti.

Lo stesso Boccia che in questi ultimi giorni ha dovuto destreggiarsi fra altri fronti “caldi”, dalle polemiche sugli assistenti civici (anche in questo caso con le regioni schierate contro) e l’ultima querelle in ordine di tempo, cioè quella sul passaporto sanitario. Il suo maggiore sostenitore, il governatore leghista della Sardegna Christian Solinas, avrebbe voluto infatti chiedere una sorta di attestato di negatività al coronavirus ai turisti sbarcati sull’isola per le vacanze estive, seguito a ruota dal suo collega siciliano Nello Musumeci ma sulla fattibilità del progetto il ministro per gli Affari regionali è stato chiaro: “Rileggete l’articolo 120 della Costituzione: una regione non può adottare provvedimenti che ostacolino la libera circolazione delle persone. Se tutte le regioni ripartono, ripartono senza distinzioni sul profilo dei cittadini di ogni regione, la distinzione tra cittadini di una città rispetto all’altra non è prevista, se siamo sani ci muoviamo. Diverso è prevedere una fase di quarantena, ma non siamo in quella condizione. E anche in quel caso ci vuole un accordo tra le parti”.

Sembra aver capito l’antifona il governatore siciliano che, ieri in giornata dopo un’aspra polemica a distanza col sindaco di Milano Beppe Sala affida ad una nota la rettifica: “L’amico Sala se vuole venire in Sicilia, con piacere: non gli chiederemo alcuna patente, neppure quella dell’auto. Chiunque vorrà venire in Sicilia rispettando protocollo sicurezza sarà il benvenuto”. In realtà la sua richiesta era stata molto esplicita: “A chi arriva in Sicilia chiederemo garanzie sullo stato di salute, informazioni sulla situazione familiare a proposito di malattie e virus e altre notizie. Nelle prossime ore decideremo che cosa deve presentare un turista lombardo o di altra provenienza”. Subito si era smarcato dal governatore il commissario dell’Azienda servizi municipalizzati (Asm) di Taormina Antonio Fiumefreddo: “Il sindaco Sala e con lui tutti i milanesi e lombardi saranno i benvenuti a Taormina. Non servono inquietanti patenti sanitarie”.

Altro fronte aperto quello fra la Regione Lombardia, che con il suo presidente Attilio Fontana (nella foto) pressa il Governo per riaprire il 3 giugno portando a sostegno gli ultimi dati, e la Fondazione Gimbe. Il suo presidente Nino Cartabellotta ha infatti espresso notevoli perplessità sulla possibile apertura agli spostamenti dei lombardi, tanto da “guadagnarsi” una querela da parte della Regione stessa che, si legge in una nota, afferma si tratti di “un atto inevitabile, dopo quanto affermato dal presidente della fondazione che, parlando dei dati sanitari della Lombardia, ha dichiarato, fra l’altro, che si combinano dei magheggi sui numeri”. Insomma, il summit decisivo atteso nelle prossime ore a Palazzo Chigi per sbrogliare l’intricata matassa della riapertura della mobilità tra le varie parti d’Italia si annuncia alquanto movimentato.