Dubbi sul Bonus sisma. È una spinta ai lavori ma esclude i più poveri

Il bonus sisma potrebbe coprire fino all’80% della spesa per la messa in sicurezza di singole abitazioni e tra il 75 e l’85% per interventi nei condomini

Nell’Italia delle continue emergenze e dei decreti legge dettati dall’urgenza di porvi rimedio, i sismabonus proposti dal Governo potrebbero rivelarsi una volta tanto uno strumento utile. E non solo per fronteggiare la disastrosa situazione che si è creata dal 24 agosto col succedersi dei terremoti nell’Italia centrale, ma anche in un’ottica di più ampio respiro e cioè di prevenzione. Il bonus può arrivare a coprire fino all’80% della spesa per la messa in sicurezza di singole abitazioni (se l’intervento include una certificazione sismica e a fronte di un tetto massimo di spesa di 96mila euro) e tra il 75 e l’85% per interventi nei condomini. Misura estesa anche agli immobili situati in aree non ad alto rischio sismico.

IL NODO
Ma il problema aperto, e non di poco conto, riguarda gli incapienti (coloro che non possono beneficiare di sgravi fiscali perché privi di reddito o con un reddito molto basso). Una platea che con il sisma aumenterà tra persone che hanno perso la casa o l’attività. Ed è proprio guardando a questi soggetti che dal Governo ci si dovrebbe aspettare uno scatto di reni. Anche alla luce degli scarsi frutti raccolti nella precedente Legge di Stabilità dalla cessione del credito d’imposta per gli ecobonus. E’ vero che la legge di Bilancio 2017 introduce la cessione del credito d’imposta anche alle banche ma è un paradosso che al momento tale meccanismo sia contemplato solo per le ristrutturazioni semplici e non riguardi proprio il sismabonus.

LA PROPOSTA
Tra l’altro anche il Parlamento si esercita da tempo su tali questioni. Per l’esecutivo, dunque, il bacino di proposte cui ispirarsi è ampio. In commissione Bilancio della Camera, per esempio, giace un provvedimento di legge, a firma del M5s Girolamo Pisano, per l’introduzione dei Certificati di credito fiscale (Ccf) finalizzati proprio agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica. In sostanza i Ccf consentirebbero al contribuente di poter monetizzare immediatamente il credito d’imposta maturato, cedendo, appunto, all’impresa il buono (emesso in suo favore dall’Agenzia delle entrate). Ma anche l’impresa, a sua volta, potrebbe monetizzare subito girando il Ccf alle banche. “La stessa definizione di cessione del credito d’imposta è già un riconoscimento implicito alla proposta sui certificati di credito fiscale – ha detto a La Notizia Pisano – La differenza, però, consiste nel fatto che con la nostra proposta abbiamo già messo nero su bianco un meccanismo generale che non solo può tornare utile per gli incapienti ma potrebbe diventare un modello da estendere dagli immobili anche in generale alle attività d’impresa”.

LE OBIEZIONI
Peccato che a sentire il Pd Maino Marchi, questa proposta crei un problema non da poco: “Il trasferimento dei Ccf si configurerebbe come debito pubblico. Una questione emersa già l’anno scorso in Commisisione dalla relazione tecnica della Ragioneria dello Stato. Un conto sono le detrazioni fiscali, come quelle previste dal sismabonus che vengono calcolate, infatti, in termini di minor gettito, un altro il meccanismo dei certificati che implica una spesa da parte dello Stato”. Un’obiezione di fronte alla quale Pisano fa spallucce: “Se il problema decade per la cessione del credito d’imposta allora in automatico sparisce anche per i Ccf. A quel punto, se la legge andasse avanti, a trarre vantaggio da questo strumento sarebbero anche quei contribuenti che nei prossimi anni non avranno redditi sufficienti per fruire del credito d’imposta. E, cosa non da poco – ha concluso il parlamentare 5 Stelle – potremmo utilizzare i Ccf come garanzia per la liquidità ottenuta dalla Bce, risorse fresche per l’economia reale”.