E ora Prodi

di Gaetano Pedullà

Il tracollo di Enrico Letta nella direzione del Pd spiega più di mille parole perché il suo governo non ha cavato un ragno dal buco. Mentre il mondo correva verso la ripresa, l’Italia ha buttato via quasi un anno rallentata da un esecutivo debolissimo, anche nello stesso partito del premier. Ringraziamo Napolitano per il brodino che ci ha costretto a bere. E le forze politiche per essersi guardate bene dal cambiare la legge elettorale. I nostri parlamentari hanno salvato la seggiola e adesso con Renzi potranno darsi una nuova chance. Ma è evidente che in una legislatura nata storta non basta cambiare il timoniere per far prendere il largo a una nave che a mala pena galleggia. Per questo la sfida del segretario del Pd sembra disperata. Così come l’ambizione di guardare al 2018. In Parlamento mancano i numeri per fare le grandi riforme. E inevitabilmente la nuova maggioranza nata da una manovra di Palazzo si porterà dietro il peso di questo suo peccato originale. Dunque quella delle elezioni era la via maestra per uscire dalla palude, malgrado Renzi, con una giravolta spaziale, ieri abbia scoperto di poterne fare a meno. Oggi Letta darà quindi le dimissioni e poi partirà la solita liturgia delle consultazioni. Confronti questa volta di grande importanza, perché è adesso che il sindaco può trovare qualche puntello in più rispetto alla risicata maggioranza di Letta. Senza contare il possibile appoggio di Forza Italia, più o meno sotto banco su pochi punti programmatici. Di sicuro, però, nella situazione data la strada del cambiamento è tutta in salita. Chi invece vede lontano è adesso Romano Prodi. Dopo la lettera di licenziamento consegnata via Corriere della Sera, Napolitano prenderà la prima finestra utile per lasciare il Quirinale. L’ora della rivincita per il Professore. A meno di non trovare un Draghi a bloccargli ancora la strada.