Ecco perché la perizia della Procura di Bergamo inchioda la Regione Lombardia

Secondo la maxi-perizia della Procura di Bergamo, le Regioni, compresa la Lombardia, "potevano agire in alternativa al Governo".

Ecco perché la perizia della Procura di Bergamo inchioda la Regione Lombardia

“Le Regioni, compresa la Lombardia, potevano agire in alternativa al Governo”. A dirlo è Andrea Crisanti, oggi senatore Pd, ex ordinario di microbiologia all’Università di Padova, che ha firmato la maxi-perizia di diecimila pagine sulla base della quale la Procura di Bergamo ha aperto l’indagine sulla gestione della prima fase della pandemia da coronavirus.

Secondo la maxi-perizia della Procura di Bergamo, le Regioni, compresa la Lombardia, “potevano agire in alternativa al Governo”

In tutto gli indagati sono diciannove, tra questi l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro della Sanità Roberto Speranza, il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e il suo assessore al Welfare Giulio Gallera.

I reati contestati a vario titolo sono quelli di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio. Nelle carte dell’inchiesta è confluita una grande mole di documenti che cerca di fare chiarezza sulla mancata istituzione della zona rossa a Nembro e ad Alzano lombardo, i due centri della Valseriana dove si registrò un altissimo numero di decessi da Covid in relazione al numero di residenti.

Tra gli indagati per la mancata istituzione della zona rossa ci sono anche i componenti del Comitato tecnico scientifico. Su quella scelta che si rivelò scellerata ci fu sin da subito un rimpallo di responsabilità tra governo centrale e Regione Lombardia su chi avrebbe dovuto prendere la decisione di interdire la zona, seguendo l’esempio di quanto era stato fatto per dieci comuni del Lodigiano attorno a Codogno, dove era stato individuato il paziente 1, e a Vo’ Euganeo, nel Padovano.

Secondo i consulenti con l’istituzione delle limitazioni entro il 3 marzo i morti sarebbero stati 2.659 in meno

Per la sua perizia Crisanti si è basato anche sulle indagini fatte da Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler: secondo queste, se fosse stata istituita la zona rossa in Valseriana entro il 27 febbraio, sarebbero morte 4.148 persone in meno, mentre con l’istituzione delle limitazioni entro il 3 marzo i morti sarebbero stati 2.659 in meno.

Secondo la Procura di Bergamo il governatore Fontana avrebbe potuto adottare misure in autonomia

È proprio la Procura a richiamare, nel dispositivo di chiusura delle indagini, la responsabilità del presidente della Lombardia, che avrebbe potuto adottare misure in autonomia, senza attendere una decisione da Roma. Cosa che Fontana non fece. Agli atti ci sono invece due sue mail (del 27 e del 28 febbraio) in cui il governatore leghista chiedeva il sostanziale mantenimento dei provvedimenti già presi, “dato che non si segnala alcuna criticità relativa alla diffusione del contagio nei comuni della Valseriana”.

Nell’avviso di chiusura delle indagini non sono state inserite la chiusura e la repentina riapertura dell’ospedale di Alzano lombardo perché, secondo la perizia di Crisanti, quell’episodio non avrebbe avuto effetti significativi sulla diffusione del contagio, dato che molti si erano già ammalati di Covid prima del 23 febbraio.

L’inchiesta della Procura bergamasca vuole fare luce su un altro aspetto ed è quello che riguarda l’applicazione del Piano pandemico nazionale (l’ultimo risalente al 2006) con la conseguente carenza di dispositivi di protezione individuale e la disorganizzazione in cui le strutture sanitarie si trovarono ad affrontare l’emergenza. Il problema in Lombardia fu acuito dalla riforma della sanità varata da Roberto Maroni nel 2015.

A denunciarlo, su Business Insider del 6 aprile 2021 fu il giornalista Andrea Sparaciari: “A colpire è che il Piano pandemico regionale del 2 ottobre 2006, aggiornato il 16 settembre 2009 e rivisto nel 2011 e da allora mai più toccato, si basava su due soggetti: i vertici regionali con un ruolo direttivo e le Asl come braccio operativo. Ma, con la riforma della sanità varata da Regione Lombardia nel 2015, le Asl sono sparite, divenendo Ats (Agenzie di tutela della salute), si sono cioè trasformate da braccio attivo della politica sanitaria ad agenzie di mero controllo burocratico e amministrativo (da qui il termine “agenzia”) sull’attività degli ospedali.

Il loro ruolo è stato trasferito ai nosocomi (divenuti contemporaneamente Asst, Aziende socio sanitarie territoriali), senza che però fossero passati loro tutti quei compiti operativi originariamente in capo alle Asl. È così che si è determinato quel cortocircuito che ha causato l’impreparazione dimostrata dalla regione più ricca d’Italia nel combattere la pandemia e che è costata tante vite”.

 

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