Gentiloni prova a fare il Renzi in Europa. Ma la Merkel sa che il premier è a breve scadenza

Paolo Gentiloni ha provato a battere i pugni sul tavolo in Europa, ponendosi in continuità con il suo predecessore Matteo Renzi.

Paolo Gentiloni ha provato a battere i pugni sul tavolo in Europa, ponendosi in continuità con il suo predecessore Matteo Renzi. Ma il risultato non è impressionante: la cancelliera tedesca, Angela Merkel, è consapevole che il premier – nella migliore delle ipotesi – resterà in carica per altri 7-8 mesi.  Tanto che si è limitata “a fare gli auguri al nuovo Governo”.

Non possiamo dare la sensazione che in questo mare in tempesta l’Europa si muova con un piccolo cabotaggio o che adotti una sorta di flessibilità a corrente alternata, che diventa rigida sui decimali di bilancio e molto ampia su questioni come quella migratoria”, ha attaccato il presidente del Consiglio, facendo un implicito riferimento alla lettera inviata da Bruxelles sullo scostamento del deficit. E ha lanciato un affondo anche alle politiche del rigore, di cui la Germania di Merkel è da sempre portabandiera:  “Noi crediamo che la fase sull’austerity  sia tramontata e auspichiamo un confronto aperto all’altezza dei  tempi. La discussione su vincoli e cavilli dell’Unione Europea è oggi troppo stridente”. Il premier ha sottolineato inoltre che “l‘Italia non tornerà mai ad essere un Paese fiscalmente irresponsabile, quel tempo ormai è finito. Anche se ne paghiamo ancora il prezzo”.

E non è mancata la critica alla gestione dell’emergenza-migranti: “L’Ue ha cominciato a darsi un’agenda sulle migrazioni solo nel gennaio 2015. Nel corso degli ultimi due anni il fenomeno ha rischiato di mettere in discussione molte delle nostre conquiste”. Anche se poi Gentiloni ha lanciato un messaggio di ottimismo: “Non consentiremo a questo rischio di concretizzarsi. l’Ue resta l’Europa di Schengen, dei suoi principi e dei suoi valori”. Insomma, tante belle parole. Con tanto di sfida a Bruxelles e Berlino. Peccato che siano state pronunciate da un presidente del Consiglio troppo debole per cambiare la storia dell’Europa.