Giornali online senza libertà. I grandi gruppi cannibalizzano l’informazione sul web. Per emergere l’unica strada è puntare su contenuti specialistici

Incertezze, poche risorse economiche e scarsa attenzione da parte delle istituzioni sono i tre fattori che rendono i giornali online pieni di ombre

Prima che i giornali online possano camminare con le proprie gambe ne dovrà passare ancora di tempo. E non poco stando a sentire il parere degli stessi addetti ai lavori delle testate digitali, che ritengono l’informazione online “non libera”. Una marea d’incertezze, la ristrettezza di risorse economiche e la scarsa attenzione da parte delle istituzioni sono i tre fattori che rendono il giornalismo sul web pieno di ombre. Il rapporto sul giornalismo digitale, locale e iperlocale, realizzato dal gruppo di lavoro Giornalismi dell’Ordine in collaborazione con l’Anso (Associazione nazionale della stampa online), mette in luce tutte le criticità di un settore tanto aperto nelle dichiarazioni d’intenti all’innovazione quanto attaccato ai vecchi canoni della carta stampata. Il problema principale delle testate online è lo stesso dei giornali di carta: la pubblicità. Con un’aggravante: quella sul web è pagata molto meno. Il valore complessivo dei ricavi degli editori digitali è pari a meno della metà delle risorse economiche percepite dagli editori tradizionali. L’online non riesce a compensare le perdite del cartaceo, basti pensare che nel 2014 il 90% dei ricavi (in media) di una testata è dipeso ancora dal giornale tradizionale. Spazi pubblicitari che sul web vengono affidati quasi sempre ai soliti banner (95% dei casi) piuttosto che ad altre forme quali possono essere i pubbliredazionali. Inoltre sono ancora pochissimi gli editori che riescono a ottenere ricavi offrendo contenuti a pagamento sul web. Peggio ancora quelli nativi digitali. Fondamentale, secondo lo studio, è l’affermazione del proprio marchio editoriale. Un processo non certo immediato per gli editori nativi digitali  che, quindi, avranno difficoltà maggiori nel proporre contenuti paywall. Dalla ricerca emerge che le offerte informative a pagamento sono limitate a contenuti con un elevato livello di specializzazione  in determinati settori rivolti a nicchie. E non potrebbe essere altrimenti. Il rapporto, infatti, sottolinea che nella giungla digitale, dove tutti possono esprimere la propria voce a costi bassi, puntare su un’informazione generalista difficilmente porta frutti. La concorrenza e la cannibalizzazione da parte dei grandi gruppi rischiano di chiudere ogni porta d’accesso. Porta che però resta aperta per chi riesce a definire il proprio pubblico di riferimento. Ne sono esempio  tante testate diventate punto di riferimento per determinati settori o per interi territori.

SERVONO LEGGI AD HOC – Altro capitolo scottante è quello della forza lavoro. L’indagine evidenzia il numero ristretto di dipendenti di tantissime testate online. Più della metà di quelle intervistate non hanno alcun dipendente. Il 42% ne ha tra uno e sei.  Costi insostenibili per piccole realtà. Solo 11 su 79 testate intervistate dichiarano un fatturato superiore ai 100mila euro e tre fanno capo a editori che pubblicano pure il cartaceo. “Siamo soli, vogliamo un nostro contratto e delle leggi che finalmente ci tutelano”, è il grido di chi non vuole arrendersi.